martedì 3 marzo 2015

Mi dispiace. Sono qui, adesso

Phoenix - Casa Saunders - Marzo 2017

Selene, Davon e Thomas stavano giocando agli Indiani ed avevano costruito una sorta di tepee in salotto, utilizzando scope e sfruttando divani e poltroncine come appoggi, sprecando persino gli ombretti di Kim per tingersi sul viso minacciosi segni di guerra quando il cellulare aveva suonato, distraendola dal rimprovero che era intenta a fare 

"...Inoltre,  spendere quindici dollari di ombretto per giocare alla guerra, Selene, ti costerà tre giorni di punizione!" 

Ripeteva, mentre si spostava verso la capanna improvvisata con in braccio Joel. Il piccolo, di due anni, era intento a mordicchiare con gusto un pupazzetto gommoso fissando con particolare attenzione l'espressione crucciata della madre. Aveva ereditato gli occhi verdi di Cassandra, e in famiglia tutti erano pazzi di quel cucciolo di lupo che cosi precocemente aveva mostrato le sue zanne al mondo. Certo quando si arrabbiava era facile si trasformasse in lupo, e la faccenda diventava problematica perchè rischiava di azzannare le chiappe di un fratello a caso, ma ormai avevano imparato a gestirlo. Kim aveva inclinto appena il viso, a poggiargli un bacio sulla guancia, rassicurandolo che le sue strilla non erano per lui, e ripensando tra sè e sè alla volta in cui Neal si era trasformato e l'aveva condotto per la prima volta nel bosco con lui. Era stato un momento toccante della vita del piccolo e in generale del mannaro che difficilmente avrebbe dimenticato l'emozione di scortare, tra gli odori e i rumori della foresta, il sangue del proprio sangue per iniziarlo a quella che era la loro vera natura. Preda di questi ricordi, e complice il fatto che Selene si era messa a strillare tutta la sua malavoglia verso la punizione, Kim non si era curata di rispondere al telefono. Qualche minuto dopo era stata l'aura a segnalarle qualcosa di diverso, di atipico. La strega si era girata, di scatto,verso la porta mentre Offa si protendeva esternamente oltre la loro proprietà. Un'aura molto potente si stava avvicinando alla loro casa, ed era di sicuro un elemento estraneo alla sua quotidianeità. Un'energia mai sentita prima, che qualificava l'ospite come qualcuno che non apparteneva alla Coven Navajo nè ai vecchi amici mantenuti nel tempo. E che un estraneo varcasse cosi serenamente il territorio dei Desert, un elementale d'acqua molto anziano per la precisione, non era davvero cosa comune. L'ansia stava cominciando a crescere, e appariva cosi turbata che persino i bambini si erano zittiti, sotto il segno brusco della sua mano. Era stato Joel, stranamente, a porre fine alle sue preoccupazione quando con tutto il candore del mondo aveva balbettato un allegro

"Dadà!" tirando su col nasino ingombro di moccico, la bocca ancora impegnata a distruggere il giocattolo. Riconosceva l'odore del padre, in avvicinamento, e se Neal era con il nuovo venuto non poteva trattarsi di nulla di veramente pericoloso. Sospirando, sollevata, Kim si era spostata verso l'ingresso, spalancando la porta e muovendo qualche passo lungo la veranda fino a fermarsi sulla soglia delle scalette che conducevano alla casa. La jeep si era parcheggiata li davanti poco dopo, e dal lato passeggero era disceso un uomo sulla quarantina. Alto, capelli biondi e occhi azzurri, la sua aura si era ingrossata dinnanzi agli occhi della strega. Acqua gelida, che con l'impetuosità di un torrente si estendeva attorno alla macchina. Un incantesimo di protezione schermava l'aura di Kim, finchè lei fosse rimasta dentro la casa, e dunque sapeva che l'altro non poteva avvertirla. Dal canto suo, Offa, si era estesa plasmandosi con prepotenza,pronta a non farsi sottomettere dal primo visitatore di passaggio. Lei aveva cercato con gli occhi il marito, che appariva abbastanza seccato e che aveva richiuso di botto lo sportello camminando lentamente, mentre l'altro uomo si era fermato di fronte all'auto. Kim si era mossa, lasciando scivolare la propria aura oltre il velo dell'incanto, e mostrandosi per ciò che era all'uomo che le stava di fronte. L'aura dello sconosciuto si era increspata, sollevandosi in spire di ghiaccio tutto intorno a lui, al palesarsi di Offa. Era impallidito, allungando una mano per appoggiarsi al cofano, e sgranando gli occhi sulla figura della ragazza. Occhi infinitamente simili a quelli di Kim


Stellan

Ancora non riusciva a capire bene come fosse riuscito a infilarsi in quella faccenda, e continuava  a maledirsi internamente mentre la Jeep sfrecciava tra la polvere rossa del deserto. Era accaduto tutto in maniera molto rapida, quasi surreale. La telefonata di Neal, ricevuta un paio di settimane prima, lo informava dell'esistenza di una figlia in America, e gli proponeva un incontro con lei. Stellan aveva rifiutato, diffidente, e chiesto un riscontro scientifico tramite la prova del DNA. Erano stati giorni difficili, dove l'ostinazione dei due uomini si era spesso scontrata, e nei quali avevano imparato a starsi sul culo a vicenda.  Larsson era uno degli uomini più ricchi e influenti di Svezia, e riteneva probabile che un perfetto sconosciuto volesse frodarlo. Solo non comprendeva come Neal potesse essere a conoscenza di Luminitza. Era stato questo particolare, lasciato cadere nel discorso al momento giusto dal mannaro, a convincerlo a non chiudere la vicenda definitivamente. Alla fine aveva acconsentito ad un incontro, non immaginando che dall'altra parte vi fosse un mannaro ben intenzionato a nuocergli se avesse anche solo indirettamente fatto soffrire Kim, e convinto che i propri poteri fossero sufficienti a sopraffarlo. La ragazza che era apparsa alla porta, mentre la macchina finiva la manovra di parcheggio,  era alta e snella. Indossava un paio di shorts estremamente corti, e una canotta dalla manica calata sulla spalla. Un nugolo di bambini era uscito dall'abitazione - tutto sommato molto più decorosa di come si aspettava avendo dato una prima occhiata a Neal -  cominciando a saltellarle intorno mentre lei rimaneva con lo sguardo fisso sulla vettura.  Un altro bambino era stretto tra le sue braccia, e il vento sollevava attorno a lei un alone dorato di polvere, facendone appena ondeggiare i capelli. Ecco, era stato questo primo dettaglio a catturare la sua attenzione. Luminitza avrebbe preferito perdere un braccio, piuttosto che accorciare la propria chioma. Il modo nitido in cui ricordava questo particolare, di lei, lo colpì allo stomaco con la violenza di un pugno. Era sceso dall'auto, mentre la bambina del gruppo superava tutti, precipitandosi verso Neal e gridando allegra di afferrarla al volo. Anche la ragazza si era spostata, e fu solo quando si fece più vicino e mostrò meglio il suo viso e l'aura che Stellan rischiò seriamente di morire d'infarto. Il tempo aveva cominciato a scorrere più lentamente, fino a fermarsi del tutto. I lineamenti di quel viso lui li portava scolpiti dentro, nella propria memoria, e dentro di sè dovette reprimere l'impulso di allungare una mano e di passare il pollice su quelle labbra deliziosamente carnose, cosi simili a quelle materne. Assomigliava moltissimo, alla madre, eccetto per quegli occhi e quell'aura che, probabilmente, aveva ereditato proprio da lui.

"Sei una strega" aveva sussurrato, il cuore gonfio di una commozione confusa, ancora restio a credere ai propri occhi più che al proprio istinto.
"Si...lo sei anche tu" aveva risposto lei, perplessa, aggrottando la fronte e gettando un'occhiata  a Neal, che si era irrigidito. Non pensava che l'uomo fosse dotato di un qualsiasi potere. Già apprendere che era benestante non gli aveva fatto piacere. Senza sapere perchè, dentro di sè sospettava che aiutare la moglie a ritrovare il padre non fosse poi una grande idea. Le scene commoventi che non lo ricordavano non gli erano mai piaciute troppo, e abbassandosi a raccogliere Selene tra le braccia aveva gettato un'occhiata di sufficienza all'uomo, chiosando col solito tatto

"A quanto pare questo è tuo padre" 

Erano le coronarie di Kim, adesso, ad essere messe alla prova. Entrambe le loro aure erano, al momento, in fibrillazione e continuavano a rincorrersi e a cercarsi, come vecchi amici che si fossero ritrovati dopo un tempo inenarrabilmente lungo. Amici, appunto. Per parlare del rapporto "padre-figlia" c'era ancora molto da lavorare.

- - -

Mio padre è qui. Tutti quegli anni passati a inghiottire la sua assenza, a bruciare lettere nei bidoni sperando che il fumo gli arrivasse, a guardarmi allo specchio chiedendomi quale parte di me fosse sua. Tutto quel tempo, adesso, si è stemperato nell'attimo in cui è sceso dalla macchina, e sono state fatte le presentazioni. Neal mi ha poi spiegato meglio la faccenda, non appena siamo rimasti sufficientemente soli per parlare. Ben gli ha detto di avermi visto smadonnare dietro al pc, mentre tentavo di dare un volto al nome che mia madre mi aveva passato in sogno. E lui si era deciso a porre fine alle mie pene, ingaggiando un investigatore privato. Con i dettagli che gli avevo fornito, era riuscito a risalire fino all'uomo che ora sedeva in una camera di Motel appena oltre il confine dei Desert. Ospitarlo in casa era impensabile, finchè non avessimo avuto la certezza che fosse davvero mio padre. Com'era prevedibile, Neal non aveva voluto offrire un campione di capelli perchè si procedesse con il test del DNA, temendo che venisse a conoscenza dei miei poteri o di qualcosa di atipico in me. Non aspettandosi, certo, che fosse uno stregone. Cazzo, mio padre è uno stregone. Mio padre è un medico brillante, ed è uno stregone potente. Non riesco ancora a crederci. Sono talmente tanto confusa e incerta che mi ci vorrà un pò ad abituarmi all'idea, e cominciare davvero ad essere felice. Anche perchè non so davvero niente, di lui. Non posso amarlo a prescindere, solo perchè mi ha generato. Credo. Non lo so. So che di tutti i regali che mi ha fatto Neal questo è sicuramente il più problematico. E forse uno di quelli che ho desiderato di più. Spero che il rituale di domani riesca a schiarire le idee ad entrambi 

- - -

L'esame del DNA è superfluo quando si è in grado di dare una sbirciata al passato altrui semplicemente toccandosi. Era l'alba, l'orario più propizio per compiere un simile rituale, ed i tre si trovavano in un punto pacato e tranquillo di bosco. La presenza di Neal non era realmente necessaria, ma era stato chiaro a tutti che non avrebbe lasciato la moglie sola con quel tipo per nessuna ragione al mondo, dunque al momento se ne stava a braccia conserte a distanza. osservando i piccoli fuochi dei tre bracieri disposti a triangolo innanzi a lui, e il fumo denso che andava a sporcare il cielo via via più chiaro col passare delle ore. Respirava, per niente infastidito, l'odore aromatico delle piante che stavano bruciando e che Kim  gli aveva indicato come erbe del ricordo, sotto lo sguardo sconvolto del padre di lei che non comprendeva la ragione di spiegare a un "comune mortale" le loro procedure, i loro segreti. Mentre Stellan, a torso nudo, finiva di chiudere il perimetro del cerchio di sale intorno a loro e si disponeva seduto a terra, di fronte a sua moglie, l'entusiasmo di Neal in una scala da uno a cento rasentava, paurosamente, il meno duecento. Kim non era svestita, ma aveva indossato un top sufficientemente scollato da consentirle di tracciare sulla pelle chiara gli stessi segni, ma disegnati al contrario, che lo stregone portava dipinti sul petto. Insieme, avevano recitato parole ben precise, e poi avevano allungato l'uno il braccio destro, e l'altra il sinistro afferrandosi con i palmi l'avambraccio. La trance era cominciata quasi subito, e vedere lei reclinare la testa indietro e spalancare le palpebre su una sclera bianchissima aveva strappato, alla gola del lupo, un ringhiare minaccioso. Ma nessuno dei due poteva sentirlo, intenti a esaminarsi reciprocamente il passato, le vite, i sentimenti. Rispetto ad una semplice premonizione quel rituale aveva la specialità di far rivivere, in prima persona, momenti e situazioni. Di li a poco, le bocche di entrambi avevano cominciato a sciorinare frasi, parole, gemiti. Lei era diventata lui, e lui si era trasformato in lei.

Nella mente di Kim era apparsa l'immagine nitida di Lumintza sotto la pioggia. Sentiva il calore della mano di lei, mentre scrutava la linea della vita impressa sul palmo di Stellan, mentre i suoi sorrisi diventavano, giorno dopo giorno, più caldi e morbidi, facendole battere il cuore a velocità inaudita. Di li a poco le sue labbra sentivano nettamente il sapore del primo bacio, la dolcezza del suo respiro addosso, la malinconia che gli occhi di lei scioglievano tra le braccia di Stellan. C'erano i loro corpi insieme, la fame di divorarsi e di cercarsi, di inseguirsi. Kim era arrabbiata, ora, mentre parlava una lingua che non sapeva di conoscere. Insultava i suoi genitori, rifiutava di tornare, abiurava il proprio credo e la propria nazione. La rabbia aveva lasciato, però, presto il passo alla tristezza quando Luminitza si era congedata, e per sempre. Un vuoto e una disperazione, un senso perenne di incompletezza, che Kim sentiva costante nonostante le immagini nella sua mente continuavano a sfrecciare, mostrandole mesi, giorni, anni. La laurea, le specializzazioni, i successi. Era la zona pulita, del suo passato, ma lei sapeva che c'era qualcosa che la mente di lui le stava nascondendo. Una zona buia, che finalmente aveva trovato, e che con incredibile determinazione era riuscita a scardinare. Correva nei suoi ricordi con fretta e ingordigia, mentre quella sensazione di vuoto le rimaneva addosso. Persino quando altre donne si erano affacciate sul corpo di Stellan, e lui si era soddisfatto con loro, assaggiandone consistenze e dividendo quando successi e quando un paio di lenzuola, quel sentimento non era mai cessato. E poi c'era la magia. Devastante, intensa, sanguinaria. Facce di altri stregoni e streghe, compagni della Coven di suo padre, un'associazione molto potente formata da menti illustri e talenti sorprendenti. Sotto le ciglia scure di Kim erano passati omicidi, rapimenti, torture, conquiste. Orgasmi, arrabbiature, disperazione, freddezza. Non era un uomo da smancerie, non era un uomo da carità. non era un uomo da bontà sconfinata. Era colto, era ambizioso, e tutelava la propria famiglia. Aveva visto altri due figli, nei suoi ricordi, ma neppure una traccia di esperienze legati ad essi. Semplici facce, in uno schedario aperto su una scrivania. Quando il viaggio era finito, e lei aveva riaperto gli occhi, boccheggiando perchè i polmoni chiedevano disperatamente aria come dopo una folle corsa,  aveva la certezza di essere sua figlia, ma non sapeva ancora cosa questo significasse per lui.

Nella mente di Stellan, invece, era scivolato un passato dai contorni un pò meno felici. La morte di Luminitza era stata scandita dal panico, nel cuore della bambina, ed anche lui si era messo a piangere ed a gridare. L'adolescenza passata tra le strade, il sapore intenso della libertà, le coccole e l'amore di Baba. Gli interrogativi su chi fosse suo padre, la sensazione di abbandono di cui a tratti lei era preda. Tanti uomini, scelti senza nessun criterio, per passare il tempo più che per reale interesse. Aveva assaporato il dolore di lei, con la perdita della nonna  e la cacciata dal gruppo. Le frustate di Gaspar avevano lacerato anche la sua, di pelle, assieme all'umiliazione della sconfitta, al peso della solitudine. Una solitudine che sentiva cosi simile alla sua, e che aveva portato Kim a viaggiare, a riempirsi dei rumori dati dai propri monili, delle chiacchiere scambiate con chicchessia. Una solitudine che, tuttavia, si era disciolta con l'avvento nella sua vita di Neal. Si era lasciato travolgere dalla forza prepotente di quell'amore che era sbocciato poco a poco, con tempi più lenti rispetto al nascere del desiderio l'uno dell'altra. I volti di  Santiago e degli altri membri della Coven si erano avvicendati, assieme alle battaglie condotte dalla figlia. Stellan aveva vissuto lo strazio del tradimento, e il piacere della riconciliazione, la dolcezza della vita coniugale, la gioia prepotente con cui erano stati accolti i figli, le belle notizie. Felice, il suo cuore era felice, traboccava gioia quando lui si era risvegliato trattenendo con sè l'ultima e più recente emozione della figlia. Ansante, aveva abbassato gli occhi su di lei, spalancando le braccia come per invitarla a stringerlo.  E lei aveva obbedito, incerta come lo si è di fronte alle cose a cui non si è abituati, finendo col commuoversi controvoglia. Stellan aveva socchiuso le palpebre, carezzandole i capelli, e non riuscendo a trovare altre parole che non fossero, un tremante

"Mi dispiace. Mi dispiace. Sono qui, adesso"

Neal osservava, da lontano, sentendosi sempre più escluso e messo da parte e avvertendo che qualcosa, dentro di lui, stava morendo lentamente. Era rimasto zitto, pensieroso, lo sguardo fisso e la mascella contratta reprimendo l'istinto di sollevare il muso alla luna e uggiolare il proprio malcontento.


Phoenix - Casa Saunders - Aprile 2017


Kim aveva lasciato i bambini con Dakota, quel pomeriggio, prendendosi un paio d'ore per una delle passeggiate che era ormai solita fare col padre. Non andavano in nessun posto in particolare, sceglievano una strada e proseguivano finchè le gambe non facevano loro male, parlando e scoprendosi a vicenda senza sentirsi oppressi dalla presenza di mura intorno a loro. Entrambi amavano gli spazi sconfinati, la sensazione di libertà e di piacere che una passeggiata nel nulla del deserto ti può offrire. Non era l'unica cosa che avevano in comune, e a poco a poco la timidezza data dal trovarsi catapultati in quella strana situazione si era via via attutita. Suo padre le piaceva, immensamente, e poteva insegnarle nuove cose. L'affetto stava sbocciando, a poco a poco, e questo bastava a renderla allegra e felice. Canticchiava, mentre girava le chiavi nella porta di casa, e il sorriso si era ampliato nell'entrare in soggiorno e vedere Neal seduto sul divano

"Ehi, sei tornato presto. Com'è andat.."
"Stai diventando una madre del cazzo, Kim"

Si era bloccata, inarcando un sopracciglio e osservandolo meglio. Era immobile, le mani intrecciate, gli occhi fissi su di lei carichi di astio e rancore. Non stava scherzando, e lei si era guardata intorno un paio di volte

"Che cosa significa? E dov'è Dakota?"
"L'ho mandata a casa. Significa quel che ho detto. Passi tutto il tuo fottuto tempo fuori, e stai trascurando i nostri figli"

Si era alzato in piedi, e lo stupore di lei si era trasformato in una stizza cocente

"Non sto andando a cogliere margherite, Neal. Sto vedendo mio padre. Penso di avere il diritto di recuperare il tempo perduto, considerato che non sto fuori tutto il santo giorno come tu dici"
"Non me ne fotte un cazzo, di cosa hai diritto. Non ha senso lasciare i tuoi figli per giocare a fare la figlia. Sei una madre, ora, te lo ricordi? Tocca a te fare il genitore"

Si erano ritrovati a urlare, uno contro l'altra, e sebbene Kim si sentisse ferita per quell'osservazione in cuor suo sapeva che non era vero, che non stava trascurando la propria famiglia. Da tempo aveva notato che Neal cambiava, quando Stellan era vicino, divenendo irascibile e scontroso, bistrattandola come un nonnulla. Non riusciva a capire il perchè, e sapeva che parlarne direttamente con lui si sarebbe rivelato improduttivo considerato quanto fosse bravo a chiudersi a riccio in certe faccende. Stavolta, però, aveva superato il limite

"Si può sapere quale cazzo è il problema? Non sto lasciando nessuno, non lascerò nessuno. Voglio solo recuperare il rapporto con mio padre. PERCHE TI DA COSI FASTIDIO, CHE IO ADESSO SIA FELICE?"

La rabbia di Neal era evidente, cosi come evidente era il bianco delle nocche che stringeva con forza

"SE NON ERI FELICE IN QUESTA CASA, DONNA, POTEVI ANCHE DIRLO. VATTENE NELLA TUA FOTTUTA SVEZIA, NON SENTIREMO LA MANCANZA DI QUALCUNO CHE NON SA PIU' QUALE CAZZO SIA IL SUO RUOLO" aveva ringhiato, superandola per uscire di casa e sbattendo con una tale violenza la porta da scardinarla. Kim si sentiva svuotata, del tutto.


- - -

In casa c'era un silenzio assordante. Non si parlavano, da un paio di giorni, e Neal praticamente appariva e spariva magicamente all'orario dei pasti (e neppure a tutti) o per stare coi bambini, allontanandosi da lei non appena possibile. Non dormiva neppure nel loro letto, mettendosi nella stanza dei bambini, e a Kim sembrava di essere stata punita per qualcosa che non aveva neppure fatto. Pallida, al momento se ne stava accoccolata vicino al letto di Thomas. Nel pomeriggio il bambino si era sentito poco bene, e a desso che era sera vantava una febbre da cavallo particolarmente alta. Neal era rientrato silenziosamente, captando stralci di discorsi che venivano condotti al piano di sopra, ed evitando il cucina dove Stellan stava lavorando al computer. 

"Zia?"
"Si?"
"Tu e lo zio vi state lasciando?"
"...No, amore, cosa te lo fa pensare?"
"Zio viene sempre a dormire con noi, e a scuola un mio compagno che ha i genitori divorziati ha detto che anche loro hanno cominciato cosi"
"Tanto per cominciare noi non possiamo divorziare. Non siamo sposati civilmente. In secondo luogo, sei un pò troppo piccolo per preoccuparti di queste cose. E, in terzo luogo..."
"...cosa?"
"...Mh, non so se posso dirtelo"
" Dai zia, non lo dico a nessuno"
"Ok. Vedi, io e lo zio in realtà siamo creature speciali"
"Lo so che tu sei una strega, e lui un mannaro"
"No, no. Non parlo di questo. Io e lui siamo...anime gemelle"

Lei aveva usato il tono delle grandi rivelazioni, e il bambino aveva sospirato

"E cosa significa?"
"Significa che un tempo, prima di nascere, eravamo parte della stessa cosa. Che siamo due corpi, ma un'anima sola. Anche se volessimo, non potremmo mai lasciarci, lo capisci?"
"Si"
"Bene. Quando sarai grande capirai che i grandi litigano perchè cosi poi possono fare pace"
"Con i baci?"
"Si, anche con quelli. Ora mettiti a dormire, tra poco salgo a portarti una tazza di infuso"

C'era stato lo schiocco di un bacio, e Neal si era spostato in modo tale da non essere visto, il cuore gonfio di tenerezza e confusione, addolorato all'idea di sentirla cosi addolorata. Kim era scesa in cucina, il rumore della teiera riempita e messa sul fuoco aveva lasciato spazio alla voce del padre di lei

"Stasera non hai toccato cibo"
"Non ho troppa fame, in effetti"
"E' per colpa di Neal?"
"No"
"Kim, non so perchè tuo marito si rifiuti di parlarti, ma non sono stupido e lo vedo. Non negare l'evidenza con me"
"Non sto negando, non mangio perchè non ho fame. I nostri problemi non c'entrano"
"Posso essere sincero?"
"Se è di nuovo la tua opinione su di lui, sappi che... "

Neal aveva drizzato le orecchie, attento al discorso.

"Penso che tu meriti molto di più di un tipo rozzo, senza la minima attitudine alla magia, e che ti fa stare in questo modo per un motivo che conosce solo lui!!!"
"Papà. Basta."
"Ma insomma, guardati. Sei ridotta uno straccio! E vivi confinata in un deserto, con un borioso e arrogante marito che si rifiuta di guardarti negli occhi quando gli porgi il caffè la mattina"
"Papà...basta."
"Kim, io vorrei che tu riflettessi sulla mia proposta. Vieni con me in Svezia, porta i bambini con te se ti va. Ma ti prego non dirmi che..."

Neal stava per uscire dal suo nascondiglio, preda della rabbia e della sensazione di smarrimento che l'idea di una Kim lontana chilometri gli stava facendo provare, quando un rumore assordante lo aveva bloccato. C'era stata l'esplosione, in contemporanea, di tutte le stoviglie e i vetri della cucina. Qualcosa di terribile e di  inconsueto insieme, che aveva scatenato un coro di pianti ai piani superiori dove i bambini stavano dormendo

"BASTA, HO DETTO!!! Non intendo tollerare un'altra parola contro di lui" stava gridando, le sentiva un lieve ansimare nella voce che testimoniava quanto fosse agitata "Questo marito me lo sono scelta io, questa vita è la MIA e sto bene esattamente dove mi sono voluta mettere. Se quello che mi rende felice, quello che mi piace, quello che amo non ti sta bene allora VATTENE"
"Kim, io..."
"No, ora stai zitto! Non lo conosci, non sai niente di lui. Ti rifiuti di capirlo, almeno quanto lui si rifiuta di capire te" aveva fatto una breve pausa, per riprendere fiato "Io...non lo so, che cos'ha, che cosa gli ho fatto. Ma non me ne andrò mai da casa mia, mai da lui. Discorso chiuso. Adesso scusami, i bambini piangono"

Piangeva anche lei. La figura snella di Kim era risalita velocemente ai piani superiori, per mettere a tacere tutti gli strilli, passando rapida le mani all'altezza degli occhi, cancellando via le tracce di lacrime di amarezza che si erano, prepotentemente, affacciate sul suo viso.

- - -

 Era stato lui a svegliarla. Il rumore del materasso che scricchiolava, sotto il peso di Neal, l'aveva risvegliata da un sonno agitato e per nulla ristoratore. Il mannaro non si era limitato, tuttavia, a sistemarsi dal suo lato allungando una mano a raccoglierla dalla vita, e tirandosela vicino. Con sollievo, Kim aveva ripreso confidenza con l'odore del suo corpo, il sapore della sua pelle. Invece di respingerlo, aveva schiuso le braccia ad accoglierlo, stringendosi il più possibile a lui. Erano stati zitti per un pò, godendo di nuovo della reciproca compagnia, finchè non era stata Kim a parlare

"Penso di aver capito, qual è il problema. Neal tu...tu sei tu, rimarrai tu per sempre. Nessuno prenderà mai il tuo posto nè riuscirà a farmi sentire quello che tu riesci a darmi " la voce, inizialmente incerta, si era fatta più sicura nel continuare il proprio pensiero "Ho vissuto tutto questo tempo senza di lui, e ho vissuto bene. Se proprio non riesci ad accettarlo, allora gli dirò di non tornare"

Le mani di Neal avevano cercato il suo viso, per guardarla negli occhi. Era seria. Aveva sospirato, poggiando la fronte contro la sua

"No, non voglio che lo mandi via. Anche se è un razzista, snob, aristocratico, saputello del cazzo. Ma non voglio neppure..."
"Cosa...cosa c'è?"
"Tu sei venuta qui dai miei, quando te l'ho chiesto io. Se tu mi chiedessi di andare li, io non ti potrei dire di no. Ma non sarei felice"
"Ma io non voglio andare li"
"Lui ti ha chiesto di andare, però."

Lei era rimasta zitta, mentre i pezzi del puzzle cominciavano a ricomporsi. Probabilmente Neal aveva sentito un discorso fatto in veranda, tempo prima. Senza il probabilmente, in effetti era da allora che si era dimostrato via via più scontroso

"Si"
"Sei...l'unica figlia con dei poteri magici. A differenza degli altri, ti vuole riconoscere. E vuole che prendi il suo posto, nella Coven di Stoccolma."
"Si"
"Erediterai una fortuna"
"..Neal, continuo a non capire quale cazzo sia il punto"
"Il punto è che è un'offerta favolosa per te. Cazzo...potresti diventare una specie di..capo branco. Quando sono diventato Alpha io tu eri felice, per me. Io adesso non riesco ad essere felice, per te."
"Ma io non voglio diventare Alpha di niente. Non voglio andare in Svezia"

Si era agitata, finendo col montargli sopra, risoluta

"Sta a sentire, lupastro del cazzo. Io sono felice qui, con te, anche se rompi le palle con problemi che non ci sono. Non intendo andare via da qui, perchè mi trovo bene nel branco e nella Coven Navajo. Mio padre dovrà farsene una ragione" 

Era scivolata su di lui, toccandogli le labbra con le proprie, e proseguendo

"La mia casa sei tu, lo sai già. Se non fossi contenta, te lo direi. Quanto alla Svezia...se un giorno avrai voglia di risalire su un aereo ci andremo insieme, in vacanza. Insieme, capito? Non starei comunque bene, in un posto dove tu non sei felice. E  non riuscirei ad essere felice, in un posto dove non ci sei tu. Dunque, adesso levati i boxer e dimentichiamoci questi due giorni di scazzo. Ci sono dei bambini che si aspettano si faccia pace con i baci"

E lui l'aveva baciata, ubbidiente e sollevato, appagato e felice, scacciando via definitivamente i suoi dubbi dalla testa, e le mutande di lei dal letto. 


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