giovedì 22 gennaio 2015

Vento che soffia da Ovest a Est




Nessun dolore, fino a quel momento, gli era mai sembrato cosi grande. La sensazione terribile di perderla, in maniera irreversibile, si irradiava dal petto in ondate sempre più rapide, seguendo il ritmo di un respiro accelerato e affranto. Per il momento, non poteva fare altro che tenerla tra le braccia, non riusciva a fare altro che stringerla. Come se rinsaldare la presa su quel corpo martoriato servisse a tenerla li, con lui. Se Neal avesse saputo come fare si sarebbe legato l'anima di Kim addosso. Un pò come si fa con i palloncini, quando si annodano i fili ai polsi dei bambini, affinchè possano fluttuare liberi nel cielo senza, però, disperdersi in esso.

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"E' delizioso" 

Si era ritrovata a pensarlo quasi d'un tratto, senza neppure sapere come. Pensava, e già questo era un ottimo segno. Se  fosse davvero morta non avrebbe pensato, giusto? In realtà non ne era molto certa, come non era certa che quello che stava ascoltando fosse davvero il rumore dell'acqua. Acqua in una caverna, il tintinnare lieve delle gocce che, attraversando la superficie ruvida e salina delle stalattiti, precipitavano in punta verso una pozza buia e scura. Era un suono talmente confortante, e rilassante, che Kim non poteva fare a meno di pensare nuovamente che fosse 

"Delizioso. La cosa più deliziosa del mondo"

Dov'era, però, quella grotta? L'acqua, la stalattite...dove si trovavano? Intorno a lei c'era un buio talmente fitto che era impossibile distinguere cosa vi fosse a meno di un palmo dal suo naso. Eppure, stranamente, non sentiva nessun tipo di paura. Erano le tenebre più rassicuranti in cui si fosse mai addentrata. E, una volta tanto, non voleva uscirne.

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Le ferite del corpo stavano guarendo. L'ingresso nell' Hoogan era proibito ai più, e persino i familiari di di Neal dovevano chiedere permesso, prima di entrare a visitarla. Il mannaro non era in condizione d'animo di sopportare persone, domande, parole di conforto che non placavano quella rabbia sorda e quel senso di impotenza che gli faceva compagnia dal giorno dello scontro. Odiava tutti, ciascuno per un motivo diverso e - nei suoi pensieri - validissimo. Odiava suo padre, per averlo trascinato in quella faccenda, odiava sua madre per non essere stata li al momento giusto. Odiava i fratelli, per aver organizzato la missione, e gli indiani della tribù per non aver combattuto abbastanza. E odiava sua moglie, per non essere rimasta al sicuro dentro la casa, per aver voluto combattere. Era un odio egoistico, che si mescolava all'ammirazione verso quella cosetta cosi piccola e fragile. Sapeva che aveva agito da madre, e da membro della comunità. Lui, però, agiva da marito. Aria era una delle poche persone autorizzate a starle vicino, bambini a parte. Si era presentata quasi subito, non esitando a somministrarle il suo sangue, rivelandosi disponibile a qualsiasi cosa Neal avesse in mente, persino accudire i bambini. Già...i bambini. Aveva aspettato che Kim fosse un pò più presentabile, preoccupandosi lui stesso di fare cose come lavarle di dosso il sangue, o pettinarle i capelli, prima di portare i cuccioli nel letto a trovarla. Entrambi sentivano enormemente la mancanza della madre, e non riuscivano ad accettare del tutto che "dormisse". Specie Davon, si era impegnato più volte a farle carezze e a darle bacini, chiamandola ripetutamente. Ma lei immobile era, ed immobile era rimasta. Queste scene, per il mannaro, erano due volte più penose perchè accusava il proprio dolore e quello dei figli. Tuttavia pensava fosse importante che capissero che non era morta, che stava solo riposando. E in cuor suo credeva che lei potesse sentirli, un pò com'era stato per Moonie durante il coma. Quando Nastas o Aria non c'erano, nei paraggi, lui poggiava il viso sul cuscino e la fissava intensamente, non osando neppure toccarla. Gli sembrava bella anche in quel momento, persino adesso che era in bilico tra la vita e la morte, in un posto in cui lui non poteva raggiungerla. Una bellezza struggente e dolorosa, malinconica, ora che il bagliore degli occhi, il rossore delle guance e il sorriso ampio non si affacciavano più su quel viso. Ogni tanto, allungava la lingua a leccarle la spalla, in un gesto animale di conforto che si trasformava il più delle volte in un lugubre uggiolato per concludersi, singhiozzante, in un sospiro

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Aveva trovato l'acqua, e l'aveva usata per lavarsi il viso. La goccia era diventata cascata, e la cascata mare. Kim rideva, avvolta dalle bolle bianche di un'oceano blu. Non sentiva freddo o caldo, non avvertiva neppure il bruciore tipico causato dalla mancanza d'aria nei polmoni. Era semplicemente parte del proprio elemento e si sentiva leggera, priva di pesi che legassero il proprio corpo ad una dimensione piuttosto che a un'altra. Apprezzava una libertà mai sperimentata prima, qualcosa in grado di renderla euforica quanto una colossale ubriacatura, pur senza avere gli svantaggi della sbornia. In un certo senso, era come se i contorni del suo corpo non esistessero più. Lei respirava acqua, lei era acqua. Aveva dato un colpo di piedi, felice, risalendo verso l'alto a rincorrere l'ossigeno che le scivolava via dalla bocca, ordinato, in colonne di perle d'argento. La luce del cielo diveniva sempre più chiara, e luminosa, intensa al punto da ferire gli occhi. Nell'attimo in cui il bagliore era divenuto d'un bianco accecante aveva chiuso gli occhi, continuando a sorridere. 



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Superficialmente, stava meglio. Le varie lacerazioni si erano rimarginate, i gonfiori delle percosse attenuati, i lividi da viola erano scoloriti in un pallido giallo. Ma, ancora, non si svegliava. Le pozioni di Nastas, il sangue di Aria, sembravano non essere uno stimolo sufficiente a strapparla dal sonno. Neal si era rifiutato, categoricamente, di mandarla in un' ospedale anche quando si era bisbigliata al suo orecchio la possibilità che una perdita di sangue all'altezza del cervello avesse compromesso funzioni vitali non monitorabili da una semplice occhiata. Non poteva, essere cosi, non doveva essere cosi. Dunque si affidava a quanto assicuratogli da Nastas. L'arcistregone era convinto che il corpo di Kim stesse completamente guarendo, probabilmente era l'anima di lei ad aver bisogno di riposo. Per un lupo, l'idea che la propria compagna volesse prendersi una "pausa" da lui e dalla loro famiglia era inconcepibile. Doveva esserci qualcos'altro dietro, ne era sicuro. Ma col passare dei giorni, la sua mancanza si era fatta accesa. Alla preoccupazione sulla sua salute si era mescolata la stizza, perchè lei continuava a rimanere muta, immobile. Aveva bisogno di distrarsi, di pensare ad altro. E c'erano affari urgenti, che l'avrebbero aiutato in questo.
Da tempo era stato scoperto chi aveva cospirato contro il branco, e una decina di mannari sopravvissuti alla mattanza attendevano nelle prigioni di Las Nubes di sapere cosa ne sarebbe stato di loro. Nel pomeriggio Neal aveva lasciato la stanza della moglie per dirigersi all'Arena. I due traditori, due membri del branco da sempre in polemica con la famiglia Saunders, erano stati incatenati a due pali. Il branco e la tribù erano riuniti, a formare un circolo, e indossavano i paramenti delle cerimonie solenni. Il sole stava tramontando in quella che sembrava una pozza di sangue, quasi fosse lui stesso intimorito dalla scena che stava per consumarsi sotto quei cieli. Lateralmente, il gruppetto di prigionieri era stato fatto sedere in terra, sorvegliato a vista da cinque mannari ben poco raccomandabili. Alla vista di Neal, i due Desert legati ai pali avevano cominciato a sciorinare una serie di spiegazioni, richieste di perdono, suppliche. Lamenti che si erano dissolti in gemiti, e nel raccapricciante rumore della carne che si lacera, quando il lupo aveva trasformato le proprie mani in artigli, conficcando le dita nei loro sterni per strappare, ad entrambi, il cuore. Le braccia avevano guizzato, possenti, e nel momento dello strappo il viso non tradiva il benchè minimo scrupolo. Gli occhi, accesi di una sfumatura dorata, erano rimasti impassibili per qualche istante a  guardare i due muscoli palpitare, ancora per qualche secondo, nei propri palmi mentre fiotti di sangue scuro scivolavano via dalle ferite, insozzando il pavimento. Se ne era sbarazzato poco dopo, consegnandoli a due Negromanti li accanto. Urla di guerra avevano fatto da preludio all'intensa serata di riti, per maledire le loro anime, che avrebbe accompagnato l'attività della congrega. Poi Neal aveva liberato i corpi dai pali, e assicurato le loro caviglie a due cavalli pezzati, condotti li da Lapu. Si era girato verso il proprio branco, la voce limpida  e feroce nel silenzio surreale che si era creato

"Chi vive nel disonore, non merita una morte onorevole. Niente sepoltura, nè luogo in terra per conoscere la pace. Cosi è stabilito, e cosi verrà fatto"

Aveva poi dato due pacche sulla schiena ai cavalli che, spaventati, erano corsi via trascinandosi i corpi. Ci avrebbe pensato il deserto, le rocce dell'Arizona, gli animali ed il tempo a consumarne i corpi. Si era dunque girato verso il gruppo di prigionieri, qualcuno di loro tremava, altri avevano cominciato a piangere. I cinque mannari si erano mossi, prendendoli a pedate quanto bastava per costringerli ad alzarsi. Neal aveva steso il braccio, puntando l'indice verso l'orizzonte

"Se riuscite a superare la roccia a forma di mano, allora siete liberi"

Sbigottiti, gli uomini e le donne si erano guardati tra di loro, confusi prima di adocchiare il punto da lui indicato. Poi avevano cominciato a correre, alcuni di loro in forma umana, altri evocando frettolosamente la loro natura. Neal se l'era presa con calma, concedendo loro il vantaggio che un predatore esperto vuol dare alla preda, per far durare più a lungo la caccia e godere a fondo della paura dell'avversario, prima di trasformarsi a sua volta.

Il mattino dopo i dieci corpi privi di vita, orribilmente mutilati, vennero impalati ai confini del territorio, come monito agli altri branchi, lezione di vita per le generazioni future, cibo per i rapaci della zona. 



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Aveva riaperto gli occhi risvegliandosi in un luogo privo di confini, di orizzonti, di riferimenti. Era un punto di colore in un universo di bianco, e seppure non vi fosse niente da guardare sentì che le pupille si riempivano di bellezza, e perfezione. Fluttuava, una brezza leggera a carezzarle la pelle, sussurri e bisbigli di vento tra i rami come sottofondo di quel breve momento. Finchè non aveva girato la testa, e nello sguardo non era inciampata la figura di un'altra donna. Capelli scuri, lunghissimi, e occhi neri come carbone. Più bassa di lei, ma dalle forme armoniose, esaltate dalla carnagione olivastra. Aveva gli zigomi alti, e le labbra carnose, ed era teneramente familiare. Kim si schiarì la bocca, in un tossire lieve, prima di lasciare che il battito del suo cuore si azzardasse a formulare la domanda che le era balzata in mente:

"Mamma?"
"Si"

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Era sporco di sangue dalla testa ai piedi quando si era sdraiato nel letto dove Kim continuava a dormire. La caccia lo aveva fatto sfogare, ma non era stata in grado di riempire il vuoto che la sua assenza gli scavava dentro. La mano sinistra aveva cominciato a carezzarle il viso, con delicatezza, incurante di macchiarle di sangue le labbra  mentre vi passava sopra il pollice

"C'è il sangue dei tuoi nemici, qui. Lo senti, bambolina? Ho ucciso per te, e punito chi ti ha fatto del male. So che avresti apprezzato, apprezzavi sempre questo genere di cose."

Aveva sospirato, sfinito, poggiando la fronte contro la sua tempia e dandole una breve lappata. Ad occhi chiusi, senza rendersene conto, cominciò a parlare

"Torna da me, e avrai tutto ciò che il tuo sciocco cuore desidera. Ogni orribile vestito scosciato, ogni vacanza strampalata. Tutti gli inutili accessori da cucina, e gli anelli, e le collane. Torna...e ti darò più tempo e attenzione di quanto non abbia mai fatto. Andremo di nuovo a caccia insieme, e vedremo quelle serie televisive del cazzo. Torneremo in quel puzzolente negozio di frocetti, e potrai dipingere di rosa anche il cesso. Ti compro un'intera distilleria, e ti ci faccio fare il bagno. Kim...Non...farmi fare la figura del gay, ti prego. Non puoi aver dimenticato tutta la nostra vita, e la felicità che respiravi. Non puoi non voler vedere i tuoi figli crescere, e smettere di dividere le tue notti con me. Mi appartieni, siamo una cosa sola. Se muori tu, io muoio con te. Avevi già tutto, avevi ogni cosa. Ma, se torni, ti darò di più. Kim..."

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Aveva passeggiato a lungo con la madre, mano nella mano. Luminitza era più giovane di lei, ma la cosa non pareva turbarla visto che si sentiva comunque una bambina, ed era felice di aver ritrovato il suo ricordo. Era stata la nonna materna  a cancellare dalla sua mente quell' orribile notte. Ma gli incantesimi sulla memoria non sono tanto precisi e infallibili, e presentano ampi margini di incertezze. Baba aveva sradicato anche tutti i ricordi che legavano Kim alla madre, facendole dimenticare le fattezze del volto, il suono della sua voce, il profumo della sua pelle. Il tempo aveva fatto il resto, accumulando nella sua testa altre emozioni, altri suoni, altri odori e togliendo spazio a quel briciolo che rimaneva. Erano rimaste insieme, senza dirsi niente a parole, lasciando che fosse il loro abbraccio o il loro sguardo a parlare a parlare. Dal nulla, un letto aveva fatto la sua comparsa. Lumi aveva raccolto tra le braccia una Kim sempre più piccola, mettendola tra le lenzuola colorato e rimboccandole le coperte al mento

"Vuoi restare con me, per sempre?"

La bambina ci aveva pensato su, socchiudendo gli occhioni per qualche minuto, prima di rispondere

"Sono madre anche io, ora. Vorrei tornare dai miei figli, e da mio marito"

Lumi aveva sorriso, e annuito, chinandosi a poggiarle un bacio sulla fronte proprio mentre Kim le sussurrava

"Mamma, chi è mio padre?"
"Il suo nome è Stellan Larsenn. Cercalo, Kim. Lui non sa che tu esisti"

Poi c'era stato il bacio, il più tiepido e dolce che lei avesse mai ricevuto. Una lacrima era scappata via, dalle proprie ciglia, e si era fermata addosso alla guancia di Neal che le dormiva sul petto. Aveva un terribile sapore metallico, in bocca, e duecento chili di marito a gravarle addosso

"Mhhh.."

Le prime parole, dopo tantissimo tempo, suonavano strane alle sue orecchie ed erano come l'acqua nel deserto, per il mannaro. Nel sonno, aveva mosso appena le orecchie, svegliandosi del tutto qualche secondo dopo e drizzando la testa di scatto. Una scarica di adrenalina gli era risalita lungo la spina dorsale, quando invece che le solite palpebre abbassate si era specchiato negli occhi azzurri della moglie.

"Kim!"
"..Te...quila..." 

L'aveva scandito con semplicità disarmante, indicandosi la bocca, mentre una smorfia schifata le si dipingeva sul viso. A Neal si erano annacquati gli occhi mentre la prima grossa, liberatoria, risata dopo settimane di malinconia si faceva largo nei suoi polmoni. Rideva, mentre il suo corpo dava il benvenuto al sollievo, e la sua bocca si chinava a sfiorarle le guance, le tempie, la fronte. Le lacrime gocciolavano addosso a Kim, che sorrideva ancora assonnata. In preda a quelle feste, aveva sollevato le mani a carezzargli le braccia, umettandosi le labbra per gracchiare, ancora, profondamente rilassata

"Ti..amo.."

Phoenix - 14 Giugno 2015

Si era ripresa, definitivamente, ma un pò come durante i primi mesi della gravidanza non riusciva a scrollarsi Neal di dosso. Le stava attaccato, concentrato su di lei in maniera a tratti morbosa e ossessiva. La strega non ricordava una premura simile, se non nei primi mesi della gravidanza dei bambini. Eppure, anche in quel frangente, lui era comunque meno ossessivo. In tutta franchezza, avere un marito che ti vizia tutto il giorno, tutti i giorni, è piacevole. Avere un marito mannaro che ringhia a chiunque, secondo il SUO metro di giudizio, ti causi dello stress...è un pò meno piacevole. Era dunque con incredibile scazzo e rassegnazione che, all'alba di un giorno qualsiasi, lei aveva poggiato le chiappe sull'auto. Assonnata, un caffè bollente in mano, non aveva ottenuto dal marito che qualche grugnito alla propria richiesta di spiegazioni. Sospirando, aveva poggiato il caffè nel cruscotto, e si era risistemate meglio nel sedile, socchiudendo le palpebre solo per "riposare gli occhi".
Un paio d'ore dopo, quando le aveva riaperte, si trovava all'aeroporto di Tucson. Un Neal tesissimo stava scaricando due grosse valigie, e lei era scivolata giù dall'auto con l'aria spaesata di chi stentava ad afferrare il senso di tutto.

"...Che ci facciamo qui?"
"Partiamo" 
"...Partiamo?"
"Si, Kim, è quando due persone vanno da un posto all'altro"
"...E dove cazzo stiamo andando?"
"A fare la luna di miele, in Italia"

Se il cuore della strega si era perso un paio di battiti, tanto da costringerla ad allungare una mano verso lo sportello posteriore della jeep, ed appoggiarcisi contro, il cuore del mannaro batteva tutt'altro ritmo. Non è che non volesse partire, dopotutto l'aveva organizzato lui quel viaggio, era che l'idea di stare per ore ed ore ed ore in un piccolissimo abitacolo sospeso nel vuoto gli metteva addosso una scarica di nervosismo e di frustrazione tale da impedirgli di stare fermo in un unico punto per più di una manciata di secondi. 

"Ma...e i bambini?"
"Te li ho fatti salutare! Staranno coi miei, e staranno benissimo"
"Ma...Dio è...una cosa cosi...bella e..."

Si era avvicinato a Kim, alla fine, afferrandola dalle braccia per ottenerne l'attenzione, e riportare il suo sguardo nel proprio.

"Si si, tesoro, è tutto molto romantico e bellissimo. Adesso ascoltami però. Ho con me dei sonniferi, devi darmeli subito dopo che siamo saliti eh..tu l'hai già fatto no? Spiegami cosa mi...fanno, prima di entrare nell'aereo. E un'altra cosa...dovresti fare quel magicabula, di cui mi parlavi. Sai, quello che consente all'aereo di non cadere. Bada, Kim. Goditela. Perchè le prossime vacanze che faremo saranno tutte a portata di auto, ok?"

Lei non sentiva. Era troppo felice, troppo contenta. Stava già pensando a loro due, in Italia, lontano dai problemi e dagli affanni. E per tutta risposta si era alzata sulle punte, lo aveva abbracciato al collo ed era andata a stampargli un bacio in bocca con un'intensità erotica tale da far fare il segno della croce ad una vecchina che stava passando loro accanto. 

- - -



Abbiamo camminato sotto al sole, e nell'aria fresca delle prime ore del mattino. Camminato la sera, tra le luci di palazzi antichi e di piccoli ristoranti sparpagliati lungo le coste. Siamo stati in giro come piccoli vagabondi, senza altro pensiero che non fosse rincorrere la nostra felicità, senza altra voglia che quella di goderci un istante alla volta. La mia pelle si è colorata, e quella di Neal ha assunto nuovi odori. Ho il sapore del sale, sulla mia lingua, ogni qualvolta mi attardo sul suo corpo. E l'odore del cibo buono, del tempo lento, del sesso sfrenato senza pannolini da cambiare, pianti da placare, demoni da combattere. Ha scattato mille foto, ed io ne ho altrettante ben impresse nella mia mente. I riflessi della sua barba, inzuppata dall'acqua di mare, mentre emerge piano dalle onde per tirarmi dai piedi, a sè. Il suono della sua risata, mentre litigo con una tizia al mercato di Porta Portese, contrattando per il prezzo di una borsa. E il silenzio tra noi due, mentre stiamo col naso all'insù, a fissare un cielo macchiato di stelle su una Napoli bellissima e notturna, affacciati dalla terrazza del Vomero. La pizza, buona come in nessun altro posto al mondo, sottile e croccante, traboccante mozzarella. Rubata, per gioco, dalla sua bocca e fautrice da una lotta acerrima su a chi debba spettare l'ultimo morso. I dolci di Roma, la voluttuosità di un tiramisù portato sino in camera, spalmato addosso, leccato via, morso e poi imboccato. Sospiri che sanno di cacao, caffè, e della voglia che il pomeriggio non finisca cosi presto. E poi il mare. Scosso dal vento, impiastricciato d'onde, azzurro e caldo, di una trasparenza surreale. Mare nei miei occhi, e nei suoi, mentre rimaniamo sulla spiaggia anche quando tutti se ne sono andati, e scende l'umidità della sera. La sabbia si raffredda, sotto ai nostri corpi, ma io non sento più il gelo da quando c'è lui che mi abbraccia. Abbiamo fatto tutto a modo nostro, al solito. Preferendo, ai ristoranti di turno, chioschi fritti e rifritti di cibo da strada. Birra al posto dello champagne, e parchi al posto delle gallerie d'arte. E' stata la nostra vacanza, anche nei dettagli. In Neal che ringhia quando qualcuno mi fissa il culo, in me che faccio "accidentalmente" combaciare la pallina di gelato al naso della ragazza che lo leccava ammiccando a Neal
In un punto remoto, delle nostre coscienze, c'è un sottile senso di colpa per aver lasciato a casa i bambini. Molto, remoto. E' una sensazione che si mescola a quella prepotente della nostalgia, specie quando la sera ci colleghiamo al pc per vederli. Poi però tiriamo le somme, e concludiamo che una vacanza da tutto, e da tutti, ci serviva. Per parlare un pò degli ultimi mesi, del futuro. Ed anche del passato

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Sono sul letto, ben accoccolati l'uno all'altra, niente posizioni erotiche a condire la serata. Neal sta accarezzando la spalla di Kim, e lei tiene gli occhi puntati sulla terrazza, e sullo scorcio di mare notturno che gli sta regalando. Si chiacchiera, da qualche minuto, dei momenti belli e degli imprevisti di quei giorni spensierati, in un clima pacioso che è il preludio al sonno. Quando il cuore di Kim vira direzione, battendo nel petto del mannaro rintocchi un pò più sentiti

"Sai...quando ero in coma? Ho...visto mia madre"

Non è mai stata molto abile, nei giri di parole, ed ha sempre preferito dirgli le cose nella loro interezza, e nel modo più diretto possibile

"Mi ha parlato di alcune cose e...mi ha detto il nome di mio padre" lo sussurra, pigiando la bocca sul suo pettorale, prima di risollevare il mento per guardarlo. Neal non si scompone, distogliendo gli occhi dal soffitto per cercare quelli della moglie

"...dunque, inizierai a cercarlo?"
"Se non hai nulla in contrario, si"
"Sai come la penso a riguardo. Per me è una cazzata. Ma se è una cosa che ti aiuta a stare bene..."

Si prende una pausa di silenzio, spostando la mano tra i suoi capelli, senza smettere di carezzarla

"Devo...dirti una cosa anche io. C'entra sempre un padre"

Si umetta le labbra, inspirando a fondo

"Il vecchio vuole dimettersi, e gestire il branco come braccio e non più come mente. E' stanco. Ha combattuto troppo, dice. Vuole godersi  i nipoti, e la vita. Ed ha figli a sufficienza per farlo serenamente"

Fino ad allora, non avevano mai parlato di cosa sarebbe loro successo quando la faccenda di Norwood sarebbe finita. Al solito, si preoccupavano dei problemi quando si presentavano. Kim leggeva, negli occhi del mannaro, qualcos'altro. Un dubbio, un pensiero, un desiderio che stentava a condividere con lei. E solo in fondo, alla fine, aveva intuito che la ragione di quel tentennamento fosse il timore che la moglie non potesse prenderla bene. Si era spostata, dunque, scivolando con garbo su di lui  fino a sfiorargli le labbra, con un bacio

"Vuole che tu resti a casa, vero?"
"...Si. Quanto a te...sei mia moglie, non ti manderanno di certo via. Specie dopo gli ultimi avvenimenti. Ma...tu..cioè...a te?"

Lei aveva continuato a baciarlo, scivolando sulle guance, in una moina che sapeva di affetto, prima di tornare a fissarlo negli occhi. Sorrideva

"Vendi la casa  a BonTemps. E trasferiamoci, definitivamente. Casa mia è dove sei tu. I bei ricordi che abbiamo li, ce li portiamo dentro...sono una zingara, ricordi? Le nostre radici non crescono mai troppo a fondo in un posto"

L'aveva stretto più forte, la voce che diventava a poco a poco un bisbiglio

"Casa è dove ci sei tu, e dove portiamo i bambini. Non conta nient'altro. L'Arizona è un posto bellissimo dove vivere, finchè ci andrà. Phoenix è la nostra nuova casa, Neal"


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