domenica 11 gennaio 2015

Di un pessimo inizio, e di una clamorosa fine



30 Dicembre 2014 - Periferia di Phoenix 

Faceva parecchio freddo, ma il plaid che Kim aveva portato era abbastanza caldo da mitigare la temperatura bassa che, l'abitacolo della Jeep, riusciva a malapena a schermare. E poi c'era Neal, che già di per sè rappresentava un'ottima fonte di riscaldamento. La strega se ne stava accoccolata tra le sue braccia, fissando l'orizzonte buio e rischiarato appena da una mezza falce di luna calante. La notte tingeva le sagome del deserto di sfumature bianche, pennellate d'argento che finivano col dare più l'idea che la Jeep fosse parcheggiata in un paesaggio spaziale, surreale, che in uno spicchio d'Arizona come altri. Erano assorti ciascuno nei propri pensieri, consapevoli che per stare bene insieme non era necessario sempre e comunque ciarlare. Il puntino rosso della sigaretta, che i coniugi Saunders si stavano passando da poco, tiro dopo tiro, venne ben presto soppiantato in termini di luce dai fari di un auto  poco distante. La vettura procedeva spedita, e sembrava quasi stesse correndo via dal buio della notte e dai terrori che questo si portava dietro. Non erano li per contemplare il paesaggio e concedersi una romantica pausa dai tormenti familiari. Neal, vedendo l'auto, aveva acceso i fari e lampeggiato un paio di volte finchè la stessa non aveva sterzato, dirigendosi verso di loro. Kim, consegnata la sigaretta al marito, si era rinchiusa il meglio che poteva nel proprio giubbotto aprendo lo sportello per scivolare all'esterno e andare incontro a Juniper. E a Jackson.

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Si sente colpevole. Gliel'ho letto negli occhi subito dopo la telefonata di Jackson e per quanto non voglia entrare in discorso so che non riesce a levarsi dalla testa l'idea che Aly potrebbe non essere morta se lui fosse stato li.  Neal non è mai stato tipo da molti scrupoli, e la sua etica non è certo cosi spiccata. E' abituato a veder morire la gente, e sa che sono rischi "del mestiere". Ma è sinceramente, fraternamente, legato a Jackson. Il loro dolore era percepibile, persino da me che di animale non ho nulla. Li ho visti abbracciarsi, con la coda dell'occhio, mentre io ero impegnata a mia volta ad abbracciare Juniper. Magra e sciupata più di quanto non ricordassi, ci siamo rifugiate in macchina a parlare mentre gli uomini rimanevano per conto loro. Neal si è girato giusto un attimo a guardarmi, come a chiedermi permesso, prima di trasformarsi e fuggire via nella notte con l'altro. So perfettamente che ne avevano bisogno, quasi quanto io avevo bisogno di quei minuti con l'altra lupa e...Elinor. Un fagotto roseo e dai capelli rossicci, attaccata morbosamente alla sua bambola, e con una piccola valigia al seguito. Con Juniper abbiamo recuperato il tempo perso, aggiornandoci reciprocamente sul modo in cui le vite di entrambe si sono evolute nel corso di queste ultime settimane. Alla fine, tutti e quattro, ci siamo separati. Elinor è venuta via con noi, e resterà al sicuro a Las Nubes finchè i Moontears non saranno fuori da ogni sorta di pericolo. Non che da noi la situazione sia poi cosi migliore, ma c'è sempre il pueblo dei Navajo su cui fare affidamento, e i Desert Dust sono più cazzuti e armati rispetto all'altro branco. Inoltre Selene e Davon conoscono già Elinor, e alla bambina farà bene ritrovare i compagni di giochi. Quanto a me...l'idea che un mannaro non sia invincibile, e che farlo morire sia più semplice di quanto pensassi, maturata dopo questi ultimi episodi della nostra vita mi getta addosso un'impronta d'ansia cosi evidente che di tanto in tanto persino respirare mi risulta difficoltoso. Ci pensa comunque Elinor, a distrarmi. Si sveglia spesso, nel cuore della notte, chiamando la mamma. Con pazienza la raccolgo tra le braccia, passeggiando su e  giù per la stanza, finchè non si è di nuovo calmata. So bene cosa significhi, rimanere senza un seno a quest'età. Forse è per questo che mi ritrovo a coccolarla spesso, anche più spesso di quanto non faccia coi miei figli. Lei pare quietarsi, finchè non realizza di nuovo che c'è qualcosa di più profondo dei miei baci che le manca. Dormi, Elinor, riposa. Fatti forza, piccina, perchè questo genere di mancanza non potrai mai colmarla davvero in vita. Parola mia.

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Quindi quando partirete?
Domani sera. Ma non voglio che tu stia sola a casa.
Prenderò i bambini e andrò da Nastas.
Bene
E non mettere su quel muso lungo. Non mi succederà niente.
Mh. Preferirei che succedesse qualcosa a me, piuttosto che a te
Scherzi? Io con un paio di cicatrici sarei solo dannatamente più figo. Se qualcuno ti deturpasse, invece, sarei costretto a lasciarti. Nessuno vuole con sè una moglie orribile
Fottiti, Neal, sono certa che tu sappia come si fa.

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08 Gennaio 2015 -  Arizona - Casa Saunders ore 21:00

Nastas l'aveva detto. La salute e la memoria di Norwood non sarebbero andate di pari passo, in termini di ripresa. E se il fisico - aiutato dalla prodigiosità dei suoi geni - si era già da tempo rinforzato e rinvigorito, lo stesso non si poteva dire della sua memoria. Continuava a non avere traccia, dentro di sè, dei figli e del branco, degli amici e di Cassandra. La mannara, però, non aveva smesso di nutrire una forte e salda speranza. Lo aveva accudito con dedizione e amore, subito dopo la resurgo, senza lasciarlo mai un'istante. Eppure quegli occhi verdi, che continuavano a fissarlo con passione e profondo amore, continuavano a non dire niente al vecchio lupo. Non essendo ancora in grado di occuparsi adeguatamente degli affari del branco non aveva preso parte alla spedizione organizzata per quella sera, rimanendo in casa con la moglie. Erano da soli. Sia Ben che Dakota erano partiti con Neal, e Kim aveva passato il pomeriggio nell'hoogan al villaggio, preferendo rimanere li per la notte. I bambini avrebbero avuto con chi giocare, e lei voleva finire di studiare alcune cose con Nastas. Cassie era seduta sulla scaletta del portico che conduceva al giardino. Si era presa un attimo per stare da sola, senza allontanarsi troppo da Norwood che schiacciava un riposino all'interno. Da quella prima notte, a colpi di vassoiate in testa, non erano mai stati tanto tempo senza toccarsi. E, sicuramente, se davvero c'erano state delle pause fisiche tra di loro, lei non ricordava un solo momento in cui il marito l'aveva guardata come se fosse un'estranea. Il vecchio Nor le mancava, terribilmente, e per quanto si sforzasse di mantenersi forte la solitudine che avvertiva era assolutamente straziante. Si può essere soli per tanti motivi. Succede che la persona che ti manca non ti sia più vicino, fisicamente, perchè lontana o addirittura morta. Ma avere accanto il corpo, di quel qualcuno, e sapere che forse non potrai più apprezzarne lo spirito...non potrai godere del senso dell'umorismo, e della goffa tenerezza, persino dei tanto odiati lati negativi del suo carattere  è qualcosa di tremendamente surreale, ed angosciante. 
Preda di questi tristi pensieri, stava in silenziosa contemplazione del giardino, le gambe strette al petto, a loro volta cinte dalle braccia quando la voce del mannaro era scivolata, inaspettata, dietro di lei

"Ti assomigliava"

Cassie aveva girato il viso, di scatto, osservando il marito in piedi li accanto. L'uomo teneva lo sguardo fisso su un cactus, fiorito davanti a loro. Il cielo, in conclusione del tramonto, tingeva i petali di una sfumatura intensa di viola, celando il bianco candido che in realtà gli apparteneva. Lungo e affusolato, se ne stava ben ritto in mezzo agli altri, facendo vanto delle proprie spine e di quell'unico fiore. Cassie aveva riaperto la bocca per dire qualcosa, ma Norwood aveva ripreso a parlare 

"Perchè...eri vestita di bianco, quel giorno e...era cosi ritto. Gli altri erano bassi, quello stava tutto su, neanche avesse la spocchia. Ed era fottutamente spinoso. Quel cactus ti assomigliava. L'ho preso per questo"

Il cuore di Cassandra aveva cominciato a martellare, furiosamente, e lei aveva sciolto la propria posa per sollevarsi in piedi e fissare da vicino il marito

"Poi ho pensato...che probabilmente, l'avresti buttato nel cesso. Quindi ho cominciato a mandartene altri. Regolarmente. Mi dicevo che almeno uno lo dovevi pur tenere, mi dava al culo l'idea che non avessi neanche una cazzo di spina per casa"

Aveva spostato gli occhi in cerca di quelli della mannara, sollevando le mani a coppa a prenderle il viso tra i palmi

"Non potevo immaginare, quando ti ho portata via da casa, che avrei dovuto attaccare il rimorchio alla jeep solo per trascinarmi dietro tutta la tua maledetta collezione di piante grasse. Tutte. Le avevi...tenute tutte"

Sembrava commosso, come se il pensiero lo intenerisse profondamente, e se stesse parlando con lei di una cosa di estrema importanza. Anche Cassandra, aveva gli occhi lucidi, ma per tutt'altro motivo. Aveva cominciato a ridere, tra le lacrime, spingendosi poi a cercarne le labbra.
Qualche minuto dopo, in forma animale, avevano lasciato la casa per dirigersi alla roccia. La loro roccia. A riappacificarsi col proprio passato, nella fretta di vivere un altro pezzo di presente. Incuranti degli strani movimenti ai confini della riserva 





08 Gennaio 2015 -  Arizona - Ritrovo del Branco "Rovers" ore 20:00

Il branco rivale era stanziato a circa 200 km di distanza da Las Nuevas. C'erano volute tre ore di viaggio, per arrivare, ma avevano pianificato tutto nei minimi dettagli. Appostati a debita distanza avrebbero atteso il calare delle tenebre, sferrando un attacco in notturna. Qui e li c'erano piccoli segni che indicavano vi fosse ancora una certa attività tra le baracche. Luci accese, fumo da qualche abitazione, il rumore di una radio in sottofondo. Eppure Neal era inquieto. Minuto dopo minuto, sentiva l'ansia crescere e comprendeva che non dipendeva dalla paura di fallire. Era una sensazione del tutto nuova, e come ogni sensazione nuova il mannaro l'accoglieva con un forte disagio ed una dose raddoppiata di aggressività. Alla fine, più perchè il fratello stava diventando uno strazio che per reale convinzione che li vi fosse qualcosa di sbagliato, Ben aveva acconsentito ad andare a dare un'occhiata, più vicino. 
Le casupole erano stranamente quiete. In forma lupo, Neal fiutava l'aria incerto. Gli odori del luogo erano troppo sottili, troppo evanescenti. Si era ritrasformato dietro una finestra. La luce era aperta, e in lontananza dalla collina  in cui erano sistemati si vedeva una sagoma, come di un uomo seduto. Ben si era ritrasformato dietro di lui, subito dopo

"Cazzo fai, ti vedranno"

Neal aveva indicato il fantoccio, fatto con sacchi e paglia, seduto davanti alla televisione accesa, e Ben aveva aggrottato la fronte

"Non capisco...che cosa..."

Il fratello continuava ad essere confuso quanto lui finchè, improvvisamente, una nuova consapevolezza non aveva fatto breccia  nei suoi pensieri.

"Lo sapevano. E non sono qui"
"...Come facevano a saperlo? Dove cazzo sono allora?"

Neal si era voltato, cominciando a correre verso il gruppo di mannari

"A casa! Dobbiamo tornare a casa!"

Aveva urlato, prima di ritrasformarsi. Rendendosi conto, solo in quel momento, che adesso si che avvertiva una pungente, intensa, paura ghiacciargli il sangue e convertirgli i pensieri verso un'unica possibile direzione. 





08 Gennaio 2015 -  Arizona - Pueblo Navajo ore 22:30


Kim era inquieta. Questo sentimento  l'aveva accompagnata per gran parte del giorno, dopo la partenza di Neal, ma era abbastanza convinta si trattasse della consueta ansia da "oddio, rimarrò vedova" che caratterizzava ogni missione strampalata del mannaro. Non riusciva a trovare il cellulare che, ormai completamente scarico, era riapparso solo da qualche minuto nella bocca di Davon. I bambini erano stati nutriti a dovere, lavati, e adesso dormivano placidamente all'interno dell'hoogan che occupava quando si trovava al villaggio. Eppure, l'ansia che avvertiva, continuava a crescere a dismisura. Un pò di aria le avrebbe fatto bene, aveva deciso, uscendo fuori dall'abitazione. Fu in quel momento che si rese conto del silenzio. Uno strano, inquietante, silenzio  provenire dalle rocce tutto intorno al pueblo. Neal le aveva insegnato che c'erano diversi tipi di immobilità, e che una notte con la luna crescente non era mai del tutto priva di rumori. Eppure, stranamente, non c'era nessun suono di sottofondo. Con la coda dell'occhio aveva captato una leggera ombra, però, scivolare silenziosamente dietro le rocce alla sua sinistra. Alzati gli occhi al cielo, non c'erano nuvole a giustificare quella mancanza di luce in quel preciso punto. Sentendo l'adrenalina crescere si era umettata le labbra, e aveva dato le spalle alla scena, come se non si fosse accorta di nulla. Richiusa la porta col catenaccio, nel modo più discreto possibile si era premurata di castare un incantesimo di protezione attorno alla dimora, poggiando per qualche istante il palmo della mano sull'uscio. Nastas, sapeva, non avrebbe faticato a scioglierlo ma a chiunque altro non fosse dotato di un potere magico di sorta sarebbe stato impossibile entrare.
Un momento dopo, un ringhio dietro di lei aveva dato il via al caos che si sarebbe scatenato di li a poco.
Kim aveva iniziato a correre.
Spostarsi al centro del villaggio non era un caso. Le streghe sono forti in gruppo, quanto i lupi in branco. Le sue grida si erano mescolate assieme a quelle degli altri, e in breve la battaglia era iniziata. Il branco di lupi si era avventato sulle case come una massa compatta, e scura, una nube di violenza che aveva circondato gli hoogan e tentato di catturarne gli abitanti. I latrati erano ben presto stati seguiti dalle grida alte degli indiani, e un fiorire di incantesimi e magie aveva rischiarato ulteriormente la notte. Durante tutta la sua corsa Kim aveva avvertito la presenza di due grossi lupi, dietro di lei, farsi sempre più incalzanti. Essere inseguita da un lupo era un'esperienza che aveva già provato, e sapeva quanto fosse importante agire rapidamente. La sua priorità era quella di allontanare il più possibile il nemico dalla capanna dei bambini, offrendo loro un bersaglio facile. I piccoli, protetti dall'incantesimo, sarebbero stati al sicuro. Al momento giusto si era girata lasciando che due lastre di ghiaccio scattassero assieme al movimento del proprio braccio, impalettando entrambi gli animali che erano ricaduti a terra, in un rantolo. Solo allora si era resa conto del numero impressionante di mannari che circondava l'accampamento. Le era venuto in mente un discorso, fatto con Neal, risalente a qualche tempo prima. Quando, tutta fiera, gli aveva chiesto di darle un calcio per mostrargli il modo in cui l'aura si compattava attorno al suo corpo, per proteggerla. E lui le aveva fatto capire che una simile protezione, per quanto utile, sarebbe stata del tutto insufficiente nel caso in cui i nemici fossero stati in parecchi.
Un grido di dolore l'aveva strappata dai propri ricordi, e girandosi aveva visto un ragazzo della tribù venire trascinato via alle gambe da un mannaro grigio. Puntava le mani a terra, cercando di resistere, e la sua voce era cosi acuta che la strega socchiuse gli occhi dal fastidio, per un'istante. Sentendo la scarica elettrica prepararsi, sul palmo della propria mano, Kim aveva preso un bel respiro ed era corsa loro incontro. Sufficiente o meno, lei non si sarebbe tirata indietro.




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Ha le gambe spezzate. Lo capisce dai dolori che arrivano poco sotto le ginocchia e che risalgono violenti lungo la spina dorsale. E tuttavia continua a trascinarsi, per come può, strisciando sugli avambracci. Il braccio destro ha una lacerazione profonda, e il sangue sgorga copioso macchiandole tutta la parte laterale di un corpo che non è altro che un ammasso di tagli, escorazioni e lividi di diverse entità. Ne ha fatti fuori in parecchi, finchè non è stata accerchiata. Da quel momento in poi non è diventata che un pupazzo di pezza per i loro giochi. Come un gatto col topo, l'avevano pestata talmente tanto che lei stessa faticava a ricordare i colpi, e l'ordine in cui erano stati ricevuti. C'era stata anche l'idea di violentarla, quando uno di loro si era trasformato in forma umana. Ma il fulmine che lei aveva lanciato contro il pisello al vento di quest'ultimo li aveva scoraggiati su quel fronte, e inferociti dall'altro. L'osservavano muoversi con pazienza, mentre si trascinava verso la parete più vicina tentando di mettersi seduta, consapevoli che fosse troppo debole e stanca per rappresentare ancora un pericolo. Battere la schiena contro al muro le aveva procurato una nuova fitta, e il sapore metallico di sangue, guadagnato dal labbro spaccato, contribuiva a rendere più forte la nausea che sentiva. Di fronte a lei, un grosso lupo si stava avvicinando, ringhiando sommessamente. Ma lei non aveva paura, non più ormai, e continuava a fissarlo. Gli occhi ridotti a due fessure, tra i lividi delle botte prese, il corpo che non rispondeva se non con nuovi dolori e tormenti. Eppure non abbassava la cresta. Se doveva morire, voleva farlo bene. E quando il mannaro scattò in avanti lei non chiuse gli occhi. Ebbe dunque tutto il tempo di vedere il marito, in forma animale, lanciarsi contro al lupo, atterrarlo di lato e affondare i denti nella sua gola. Solo allora, le palpebre le si chiusero




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"KIM, KIM!"

aveva ripreso, blandamente, conoscenza, e c'era Neal a guardarla. Addosso lo sguardo più preoccupato, arrabbiato e disperato che gli avesse mai visto. Ma lei non riusciva a parlare. C'era qualcosa che glielo impediva, un blocco untuoso che le avvolgeva la gola e schermava le parole. Raccogliendo le forze che le erano rimaste era riuscita a sussurrare, in un rantolo penoso, sillabe  e niente più.

"Ba...bam...bi..nh.."

Un fiotto di sangue era scivolato via, sporcandole il mento, e Neal aveva uggiolato furiosamente. Ovvio che non ce l'avesse con lei, quanto era ovvio che il vederla ridotta in quel modo gli strappava il cuore dal petto.

"Stanno bene. Zitta. Non...parlare e...merda, Kim. Tu...resta con me"

L'aveva stretta più forte, ma Kim non riusciva più a dire nulla. Provava a sorridere, e la bocca non rispondeva ai suoi comandi, troppo gonfia per ubbidire ai suoi nervi. Gli occhi si erano inumiditi, mentre la mano di lui le carezzava i capelli impiastricciati di sangue e polvere. Era riuscita a spostare il polso, quel tanto che bastava per consentire alla mano di aggrapparsi alla collanina che Neal portava al petto. Aveva stretto l'anello nel palmo, come se volesse rassicurarlo sul fatto che sarebbe rimasta sempre, con lui, in un modo o nell'altro. Poi aveva chiuso gli occhi. Di nuovo. 



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Ciò che ora dico, me l'hanno raccontato. Perchè io non c'ero, stavo altrove. Di un altrove di cui vi parlerò in seguito. Mi hanno spiegato che Neal è come...impazzito. Aria ci aveva lasciato del "V", ma sapeva che le ferite erano troppo profonde perchè bastasse a farmi guarire, ed io troppo vicina alla morte per potermi trascinare indietro, il corpo troppo rovinato per ripetere l'esperimento fatto col padre. La disperazione aveva preso la mano, e a quanto ho saputo ci sono voluti due giorni per lavare via dal Pueblo il sangue che macchiava  il pavimento in pietra delle strade. A prescindere dai feriti, gran parte di quella graziosa tinta era attribuile a ciò che Neal aveva fatto ai superstiti. Se cosi possiamo chiamarli, insomma. Dei sovversivi, non sono rimaste neppure le ossa. Quanto a me...il "V" è bastato per mantenermi in vita il tempo necessario a far venire Aria. Ma a quanto so Neal già parlava di procurarsi un altro vampiro, di ucciderlo e darmi da bere. Insomma, l'ho già detto che era un pò sconvolto, no? Non si è mai mosso dal mio letto, e sono rimasta in...coma, credo, per circa un mese.Chiamiamolo coma, si. Ha quasi smesso di mangiare, e il suo unico pensiero oltre me erano i bambini, che comunque si faceva portare al mio capezzale, non osando allontanarsi. Troppo "V" mi avrebbe resa dipendente, dunque non so bene come mi abbiano curato. Credo c'entri anche Nastas. Quando mi sono risvegliata, comunque, ero ancora tra le sue braccia. E se contiamo la volta in cui gli avevo mostrato nel video il sesso dei bambini, e il giorno del parto, quella era la terza volta in tutto il tempo diviso assieme che vedevo mio marito piangere di gioia.



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