lunedì 28 aprile 2014

Cassandra & Norwood - Pt 2



Come promesso, Norwood era tornato. Molte volte. Cassandra, però, aveva sempre evitato con una certa accuratezza di rimanere sola con lui più del dovuto, di ricreare un’intimità simile a quella avuto la sera dell’attacco al leone di montagna. Lui, però, non perdeva la propria sfrontatezza cogliendo ogni piccola occasione per attirare l’attenzione della mannara. A modo suo, ovviamente. Per cui, se un normale corteggiatore inviava dei fiori alla sua amata, lui invece le spediva una piantina di cactus, allegando al bigliettino le parole “Chissà perché, queste spine mi hanno fatto pensare a te”. Ma aveva anche attenzioni estremamente delicate, nei suoi confronti. Come quando, durante il trasporto di merci particolarmente delicate che aveva richiesto la presenza di entrambi, in pieno deserto e sotto al sole cocente le era spuntato alle spalle, passandole un fazzoletto bagnato attorno al collo. Per rinfrescarla. Cassandra, di suo, un po’ lo odiava, un po’ se ne sentiva attratta. Persino quegli omaggi impertinenti, col tempo finivano per divertirla. E se davanti alla gente non perdeva occasione di sbraitare con lui era con estrema cura e amore che, la notte, rimaneva in piedi a fissare e a bagnare quel tanto che bastava – sul davanzale della propria finestra – la collezione di cactus in miniatura che lui andava formando, giorno dopo giorno, pensiero dopo pensiero. Persino negli arrivi, era plateale. La polvere che sollevava con la sua moto si vedeva da lontano, lungo l’orizzonte. Le prime volte che, affacciandosi, aveva scorto quel luccicare di metallo e quel piccolo tornado di sabbia che si lasciava dietro l’aveva accolto con l’entusiasmo di chi sta per essere attaccato da un’intera tribù di indiani. Ma poi, gradualmente, si era accorta che il cuore cominciava a battere e che, prima ancora di pensarci, le gambe si muovevano facendola fiondare giù per le scale. Anche stavolta, il rituale si era ripetuto. Eppure, qualcosa era diverso. Invece di parcheggiare nel cortile della villa di Don Hernandez, come al solito, si era fermato giusto qualche minuto per comunicare qualcosa a una delle donne che lavoravano nella casa. Poi era ripartito, senza neppure chiedere di lei, senza cercarla. Quando Cassandra aveva chiesto alla donna che cosa avesse lasciato detto, lei le aveva risposto che avrebbe alloggiato in città perché doveva incontrare un uomo, e che sarebbe passato da suo padre più tardi. Un po’ delusa, del fatto che lei non fosse menzionata in quei saluti, si era ritirata in camera sperando in una serata migliore. Sbagliava. Si era presentato, come detto, ma l’aveva salutata con un banalissimo cenno, e da lontano, prima di sedersi lontano da lei a tavola. Per tutta la sera l’aveva ignorata, e quando lei gli aveva rivolto qualche domanda diretta le sue risposte erano sempre state secche, poco coinvolgenti, distaccate. Una mano di ghiaccio sembrava essere, silenziosamente, scivolata lungo la gola di Cassandra fino a raggiungere il cuore. E stringeva, stringeva terribilmente. Per tutto il giorno seguente, Norwood non si era fatto vedere. A quel punto, la delusione di Cassandra era visibile anche ai fratelli di lei, che non erano abituati a vedersela girare intorno con quel muso. Fortunatamente il giorno dopo lei era di turno al “Chica Loca”, uno dei tanti locali gestiti dalla famiglia, utile più come copertura per il riciclaggio del denaro sporco che come vera  e propria attività imprenditoriale. Aveva dunque tempo di distrarsi. C’era luna nuova, e un cielo buio sembrava inghiottire completamente le luci del baretto di periferia. Lei stava alla cassa, intenta a pareggiare i conti, quando il mannaro aveva fatto la sua comparsa. Controllare il battito cardiaco, in modo che non sapesse quanto fosse felice di vederselo davanti, jeans stinto e canotta bianca a vista sotto una camicia a scacchi rossi, aveva richiesto tutta la padronanza che era in grado di mantenere.  Anche stavolta, però, il sorriso le era morto sulle labbra quando l’uomo aveva solo sollevato la mano, per salutarla, dirigendosi verso il bancone e cominciando a scambiare qualche battuta con alcuni conoscenti li appollaiati. Cassandra aveva i capelli neri raccolti in una coda alta, una canotta verde militare e un paio di shorts color corda che lasciavano nude le gambe lunghe, eccezion fatta per quei camperos neri che sfoggiava ai piedi . Ma il colorito che assume il suo volto, quando intercetta l’occhiata lasciva che l’altro concede al culo di una delle cameriere,  è un vero e proprio arcobaleno. Il pallore iniziale vira al giallo, muta in un verdognolo dettato dall’invidia, e infine si stempera in un rosso particolarmente inteso. Arrabbiata, si morde la guancia e abbassa gli occhi sui tastini della cassa.



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Norwood ha continuato a flirtare con quella donna per gran parte della serata. Ed ovviamente la mannara non poteva allontanarsi da li, divenendo cosi suo malgrado spettatrice di uno spettacolino che, nella sua mente, si proiettava come qualcosa di disgustoso. Da un lato la cameriera procace che, contenta delle attenzioni di quello che era indubbiamente un bell’uomo, non perdeva occasione per mettere in mostra ora le tette ora il culo che una generosa madre natura le aveva fornito. Dall’altro lui, che faceva la ruota come un pavone. Teneva entrambi gli avambracci appoggiati al bancone, contro al quale calcava la schiena, e il corpo proteso in avanti con fare arrogante. Cassandra lo osservava di sottecchi, mentre finiva di asciugare i bicchieri. Ne aveva già incrinati tre, dal nervoso, e si stava trattenendo a fatica. Un cliente si era avvicinato a chiederle qualcosa, e lei si era girata a rispondere, riportando poi lo sguardo sulla coppia giusto in tempo per vedere il mannaro allungare una mano ad arraffare il culo della donna, tirandola a sé e stampando un bacio sulle sue labbra. In quel momento, qualsiasi ragione e qualsiasi buona intenzione, erano andate a farsi benedire. Aveva lasciato cadere pezza e bicchiere a terra, incurante dei cocci che si erano disseminati al terreno. Avanzato dietro il balcone verso il punto in cui si trovavano i due e recuperato, durante il tragitto, un vassoio in metallo. Vassoio che, poco dopo, lei era andata a schiantare contro la nuca del mannaro che – dura com’era – aveva sfondato completamente la placca in metallo. Insomma, pareva che Norwood avesse un sombrero. Cassandra era poi uscita di corsa dal locale, ringhiando, nella notte buia del Messico



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Non era durata molto, la sua fuga in solitaria. A farle compagnia dapprima la voce di lui, che gridava un “EHI” inquietante, per poi ritrovarselo proprio davanti. Veloce, molto più di qualsiasi uomo normale. l’aveva raggiunta e superata. Ed ora si fronteggiavano

“Si può sapere che cazzo ti prende?”
“Non mi prende un cazzo di niente! Torna dalla tua puttana”
“Ah…ecco cos’è. Sei gelosa”
“Io non sono affatto gelosa!”
“Lo vedi, bambina, che anche tu mi vuoi?”

Era orribile, il modo in cui la prendeva in giro, il tono gongolante e trionfale con cui lui riempiva ogni parola. La faceva arrabbiare ancora di più, e Cassandra aveva sollevato il pugno, colpendogli la guancia. Questa volta, però, Norwood aveva reagito. E se, inizialmente, aveva incassato adesso si ritrovava ad afferrarla per la gola, spingendola contro la parete vicina, senza nessuna delicatezza

“Io non permetto a nessuno di colpirmi, e con questa è la terza volta che tu lo fai”

Entrambi ringhiavano, lei tentava di divincolarsi, e lui aveva serrato le dita intorno alla gola, come per soffocarla. Poi, però, aveva accostato la bocca alla sua, e l’aveva baciata, avidamente. Sorprendentemente, Cassandra aveva risposto a quel tocco, con la medesima urgenza. E quando lui l’aveva riabbassata a terra, solo il tempo necessario per prendersela dai fianchi e tirarsela addosso, lei aveva schiuso le cosce, e allacciato le gambe intorno a quella schiena guizzante di muscoli e impazienza, prima di venire portata via, in un posto più tranquillo e appartato dove poter consumare i loro desideri. Della luna, come dicevamo, in cielo non c’era traccia.


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Non ha dormito. E non solo perché si sono rotolati l’uno sull’altra per gran parte della notte, ma anche per la preoccupazione del dopo. Cosa sarebbe successo, ora? Cassandra da le spalle al mannaro, sdraiato accanto a lei, sentendosi incredibilmente felice ed anche incredibilmente spaventata. Sapeva benissimo che, per quanto la riguardava, non era una semplice notte di sesso. Che avrebbe voluto passare più tempo, con lui, a fare anche altro che non fosse il saltellargli addosso. Ma non sapeva cosa ne avrebbe pensato, Norwood, di tutto questo. Magari voleva solo divertirsi, e questo era quanto. Ottenuto un po’ di sano svago, se ne sarebbe ritornato in Arizona. Era questo, Cassandra? Un esotico passatempo con cui sollazzarsi tra una trasferta ed un’altra? Il sospiro alle sue spalle le aveva fatto girare, di poco, la testa. Lui era sveglio, e le stava guardando la schiena

“Donna, buongiorno. I tuoi pensieri fanno troppo rumore”

Lei si era girata, ridendo, in modo tale da poterlo guardare negli occhi senza farsi venire il torcicollo. E lui aveva allungato una mano ad avvicinarla al proprio corpo, chinando la fronte per sfiorare il naso con il suo prima di chiederle, in un sussurro

“Cosa c’è?”
“Niente. Baciami, piuttosto”

Si era spinta in avanti, a cercarne le labbra, in un contatto che poco dopo l’uomo aveva interrotto, abbassando gli occhi verso il basso e riportandoli nei suoi con un sorriso monello ben stampato addosso.
“Bambina, non è leale. Baciarmi in questo modo, a quest’ ora del mattino”
Le era scivolato sopra, e non era difficile capire cosa avesse intenzione di riprendere a fare, cominciando a baciarla lungo la gola, tra i seni, mordendole piano la pelle fino a farla sospirare, deliziata, e dirigendosi inesorabilmente verso il basso.

“Sbrighiamoci però. Devo andare a parlare con tuo padre”
“…Eh? Perché?”
“Perché l’uomo sono io, e immagino che mi toccherà spiegargli perché tu te ne verrai via con me, domani”

Lei lo aveva scostato dal proprio corpo, incredula, puntando su di lui uno sguardo interrogativo e perplesso. Lui, semplicemente, le aveva afferrato una mano per portarla alla bocca, e baciarne dolcemente il dorso

“Mi appartieni, Cassie. Da ieri sei la mia femmina. E le femmine stanno col proprio compagno. Tu vieni via con me”

Aveva ripetuto, poco prima di scivolare tra le sue cosce. Non c’era bisogno di chiederle se anche lei fosse dello stesso avviso, se la cosa le andasse bene. Il modo in cui aveva schiuso le gambe, e mosso il bacino assecondando la sua lingua, erano la più eloquente delle risposte.



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