martedì 25 marzo 2014

"La fine di ogni cosa, non è altro che l'inizio di qualcos'altro" - (Parte I)

Io e Neal dormiamo tra le macerie della nostra casa. C'è il materasso a terra, e  tra i nostri corpi un lenzuolo strappato e il plaid portato in Messico. Mi respira addosso, finalmente calmo, ed è assurdo pensare che dopo aver passato una notte a combattere gli amici, debba tornare a casa e fronteggiare il mio compagno. Offeso, perchè non riusciva a trovarmi, arrabbiato, perchè la mia sparizione aveva un senso ahimè sin troppo conosciuto, preoccupato, perchè temeva che di me non gli rimanessero altro che video e bigliettini...ha pensato bene di demolire tutto. Mobili rotti, muri traforati, cocci e calcinacci ovunque. Si sarà anche fatto male, ma la rigenerazione nasconde ai miei occhi nocche frantumate e escoriazioni papabili. Non mi ha mai tenuto cosi strettamente a sè. Di tanto in tanto apre gli occhi, un ringhio roco che sbuffa via dalle labbra, e lo sguardo smarrito e incazzato di chi teme di aver perso di nuovo qualcosa a lui profondamente caro. Ma io mi spingo di più contro di lui, e gli carezzo il viso in punta di dita, tenendo fermo il mio sguardo nel suo. Allora il ringhiare diviene un borbottio mite, mi sospira contro il suo sollievo, cinge più saldamente il mio corpo e riabbassa le palpebre dopo avermi guardato a lungo, finchè non è certo che non sia un miraggio. Le ore passano, e noi rimaniamo incatenati alle nostre paure reciproche e a questo materasso. A tenerci caldi, a renderci felici, il pensiero che Ira sia morta per sempre. E che questo grosso incubo si avvia a conclusione. Se chiudo gli occhi rivedo la battaglia. Rivedo la pioggia, e l'aura di Santiago stare accanto alla mia - premurosamente - mentre avanziamo verso un pick up. C'era un tizio dall'aria familiare, eppure non ricordo dove l'abbia già visto. Un brujos. Che strano, però, che non mi ricordi della sua aura.  E c'era Hank, quel tizio muscoloso che incrocio di tanto in tanto. Nessuno può chiamarmi bambolina, nessuno tranne Neal. Tra la pioggia di una serata fredda, ricordo le grida della gente, il fuoco sulla mai pelle, i fulmini tra le mie dita. Le stesse che ora tengo intrappolate tra quelle del mio lui. Di combattere ancora non se ne parla. Almeno per oggi. E quando, finalmente, il sonno si decide a bussare alle mie palpebre allora c'è solo una frase che mi viene in mente, e scivola via dalle mie labbra impastate:

"Non voglio arrabbiarmi mai più"

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Londra, Febbraio 2012

"Per amor di Dio, come stai versando quel  Whiskey?!"
"Come lo sto versando?"
"Levati donna, lo stai uccidendo!"
"..ma che dici!"
"Piccola tu non hai proprio idea di come cazzo si debba bere..."

Benjamin O' Doerty era una gran testa di cazzo. Il classico tipaccio da strada, randagio come me, irlandese fino al midollo e con una spiccata propensione al taglieggio. Ha provato a scipparmi via la borsa, ed io gli ho puntato il coltello alla gola. Siamo diventati amici. Durante il mio soggiorno londinese, abbiamo bazzicato insieme. Ci siamo divisi i pasti, i soldi racimolati...ci siamo anche scambiati i corpi, qualche volta. Amplessi frettolosi e per nulla romantici, più per necessità che per reale affezione. Semplici esigenze, buttate li senza complicazioni e senza troppi rimpianti. L'amore era qualcosa di assurdo, a quei tempi, di lontano. C'era solo un buco da riempire, e qualcosa per riempirlo. Fine. Però, di quel gran testa di cazzo, ricordo con piacere la filosofia sul bere. Un discorso privo di senso, un vero e proprio elogio all'ubriachezza.

"Stammi a sentire, Kim. Si beve perchè si è tristi, e si beve perchè si è allegri. Bevi quando ti senti solo, e quando stai in compagnia. Ogni giorno, ogni ora, ogni momento è buono per brindare. Ma va fatto con criteri diversi, e con riti particolari. Va fatto con una certa logica, e non a casaccio. Se stai male, non berrai uno sherry. Se sei felice, non andrai giù di gin. Quando ti senti depressa, quando hai paura, quando stai male...allora riempi la tua bocca con qualcosa che ami. Che sia forte, ed insapore. Qualcosa che ti bruci la lingua, e ti accenda fuoco nei polmoni. Ogni volta che senti una fitta, manda giù un sorso. Perchè vedi, bambina, la guerra si fa con le bombe. E se ti lanciano addosso granate, tu saresti una gran cogliona, a rispondere coi fieri. Fuoco contro fuoco, capito? Contati le contrazioni del petto, e bevi ad ogni contrazione. Funziona amica mia...vedrai come funziona"

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Mi è venuto in mente Benjamin. Chissà perchè, proprio oggi. Ma tanto, questa giornata è talmente assurda, talmente triste, talmente priva di senso che potrei pensare davvero a chiunque, non ci sarebbe poi granchè da sorprendersi. Io non riesco a capire più niente, della mia vita. So solo che ho la testa piena di confusione, e il cuore cosi pesante che pare non farcela più a contrarsi. So solo che vorrei dormire, ma ogni volta che chiudo gli occhi lo vedo con un'altra. Sclero, mi incazzo, mi affanno. E quando mi sveglio sono di nuovo qui, punto a capo. Vorrei tanto tornare indietro nel tempo, e cancellare quel giorno. Ma non posso. Non posso fare niente. E allora bevo. Per ogni sua fottuta frase, per il modo brusco in cui mi ha detto che si è trombato un'altra per via di un Vizio domato male. Mi scopro, d'incanto, a odiarlo. A odiarne la superficialità, a odiarne il sorrisetto, il fare da paraculo, le richieste di hamburger. Se ne stava li a mordermi il cuore, e intanto faceva finta di niente. Quasi dovessi applaudirlo, quasi fosse una cosa da ridere. E la mia testa pulsa di dolorose domande che non avranno mai risposta. Non mi do tregua, non ci riesco. Quando non ne posso più, mi allontano da lui nel letto. Ma poi mi manca, e allora rotolo di nuovo verso il suo corpo. Sto tentando di levarmi via il suo odore, per ragionare meglio, per prendere lucidità. Ma il tabacco non basta, non è sufficiente l'odore del fumo. Mi sento come se mi avessero succhiato via la voglia di vivere, di sorridere. Lui continua a dire che non è cambiato niente. Che è tutto come prima. Ma certo. Mi chiedo se riuscirò mai a stare tranquilla, ogni qual volta uscirà con lei...perchè, ovviamente, usciranno. Non è un'estranea, è la sua cazzo di femmina alfa. E ogni volta che ho una nuova domanda, su di lei, una parte di me soffoca. Perchè ammetto, ancora una volta, che l'ha fatto. Ci è andato. E' stato meglio, che fare l'amore con me? Ci sono altre cose, che mi nasconde? Perchè non gli ha raccontato di noi due? Perchè non è venuto subito qui quando l'incantesimo non funzionava?
Perchè non esiste pace, in questa cazzo di vita?


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Kim è tornata a casa. Si dirige verso la camera da letto, in testa solo il cinguettio degli uccellini all'esterno. Era una bella giornata, e lei sembra essersi divertita un mondo, a giudicare da come sorride. Apre la porta della camera da letto, e se li trova davanti. C'è Neal in piedi, una rossa piegata sul letto a novanta,ed entrambi stanno scopando. Ogni espressione  di piacere di lui, è qualcosa che ha già visto. Qualcosa che gli è estremamente caro, e che vuole tenere per sè solamente. Vorrebbe. In realtà adesso è la rossa a goderselo, e non è l'unica cosa di cui gode. Kim grida, ma quando si avvicina al letto viene spinta lontano. Rimbalza contro una parete invisibile, e altrettanto invisibili sono le mani che l'afferrano e basta. Neal si gira verso di lei, a guardarla, senza smettere di farsi la donna, che volta il viso a guardare pure lei. E Kim grida ancora, si agita impazzita, finchè lui non parla

"Andiamo Kim, è solo una trombata. Che male c'è, mh? Non vuoi che io sia felice? Piuttosto, va a farmi un hamburger!"

E parla pure lei, tra l'altro. Sorride, tra i gemiti, il viso stravolto dal piacere

"Guarda, bambina, impara come scopiamo noi mannari..chissà che non migliori"

E' troppo. L'energia scoppia, nel corpo di lei, e colpisce entrambi. Fulmini che partono dal petto della Strega e si dividono a colpire sia lui che lei, e per un attimo, c'è solo luce. Talmente tanta che persino nel buio dei pensieri di Kim, si affaccia un soffio di brace. 


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Riapre gli occhi, ansante. Un brutto sogno, di nuovo. E' mattino, ormai, è andata avanti cosi tutta la notte. Cambiavano le scene, cambiavano le "Astrid". Il succo era sempre quello. Si mette a sedere, prende la bottiglia sul comodino, combatte il lieve senso di nausea e  il cerchio alla testa. E poi fa come Ben le ha insegnato. Attende la prima fitta al cuore, e manda giù. Finchè la morsa non si allenta, e il respiro non torna regolare. Sorsi piccoli, brucianti, dolore con dolore. E poi si alza, raccatta le sigarette. Si infila qualcosa, se ne va in cucina. Fuma in silenzio, per qualche minuto, e scrive un messaggio per Neal. Prima di andare torna in camera, gli da un'occhiata. Quel corpo grande, assonnato, cosi tranquillo. Allunga la mano, in piedi davanti al letto, per sfiorargli con calma il tatuaggio sul dito. Si è scritto il suo nome sulla pelle. E Kim non può fare a meno di piegare la bocca di lato, in un mezzo sorriso

"Paraculo. Sapessi che notte d'inferno, mi hai regalato" 

Sospira, chinandosi a poggiare la bocca sulla sua tempia. E poi sul naso, sulla guancia, sulla bocca dell'uomo. Ne lecca via il sapore, il calore, ne apprezza la consistenza. Proprio quando un certo languore pare affacciarsi, tra le cosce della strega, il flashback dell'ultimo incubo ritorna, prepotente. E lei si rialza, tristemente. Tira su col naso lo scazzo, la frustrazione, la malinconia. Poi gira le spalle ed esce di casa. Non sa bene dove andare, nè che fare. Ma sa che non avrà troppa voglia di fermarsi per tanto, tanto tempo





-- continua -- 

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