lunedì 13 gennaio 2014

Dicembre 2011 - Parigi



Faceva freddo. La prima cosa che avrebbe detto al mondo, una volta tornata in America, era che a Parigi faceva dannatamente freddo. Tanto che le ossa sembravano congelarsi e diventare ghiaccioli trasparenti, pronte a rompersi alla minima pressione. Quello era il suo primo viaggio "da sola", in un continente diverso dall'America, grazie ai documenti falsi regalo di Ràmon. Era andata in un posto di cui non conosceva niente, nè la lingua nè i modi di fare. Non sapeva per quanto ci sarebbe rimasta, nè cosa avrebbe fatto una volta li. Aveva, semplicemente, messo il coraggio in valigia ed era partita. Adesso era li, in mezzo al niente, in una città che infondo non le piaceva. C'era troppo amore, intorno a lei, troppe stomachevolezze. Persino la cucina, la faceva cagare. E la gente era scortese, non si fermava a farsi leggere la mano. Lei aveva freddo, e non sapeva dove andare. Una panchina, un ponte, ogni cosa valeva l'altra. Ed era cosi stanca, di camminare, cosi stanca di quel posto che aveva deciso di andarsene a breve. Salire fino a Londra, e poi scendere in Spagna. E in Italia, si. Li voleva andare pure, a godersi l'estate, ed il calore. Si era addormentata sognando il mare, spiagge bianche, solo splendente. E si era svegliata nella neve. C'era una voce che strillava, le spaccava i timpani in quella lingua lasciva e noiosa. Ma quello che la spaventava, di più, era tutta quella neve. L'aveva seppellita, lentamente, e una vaga sensazione di asfissia si era impadronita nei suoi polmoni. Talmente spaventata che i poliziotti che la stavano sollevando le sembravano nemici, anzichè amici. Lei gridava, di lasciarla stare, che non aveva fatto niente, strattonava e ringhiava come una piccola randagia finendo col colpire uno degli agenti. Il giorno dopo, aveva un braccio rotto. Ed una terribile, fottuta, paura per la neve

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"Neal...dimmi che non l'hai fatto..."
"Non ti preoccupare, va tutto bene..."
"Neal per favore. Per favore, io..."
"Al mio tre leva la benda ed urla KOWABONGA, ok?"
"No, non voglio!"
"Uno...TRE! Vai Kim, urla!"
"NOOOO. Cazzo! Dio...cazzo di..."

Non ho più paura della neve. Lui ha questi metodi da cellula terroristica. Ti dice di vestirti pesante, ti benda e ti porta in Arkansas. Perchè in Arkansas c'è la neve. Ed è furbo, è infido, attende che tu sia scesa dalla macchina e sia lontana da una via di fuga, prima di levarti la benda e farti trovare di fronte alla tua fottuta paura. Circondata,  dalla tua paura, mentre scivolate lungo la neve fresca come foste su una slitta. E c'è il suo corpo, a tenerti stretta, a sussurrarti che va tutto bene e che non ti farà nulla di male. Ti racconta persino come vede, la sua gente, questo fenomeno. Perchè sa che ami le sue storie, ed ami la sua voce, e la presa rassicurante delle sue braccia. No, davvero. Da quando ce lui, io non ho più paura.

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"Tu non ci sei sempre. E quando devo andare in posti troppo lontani, la bicicletta è poco pratica e devo prendere corriere o taxi. Anche solo per fare la spesa, quando non ci sei, mi serve uno stupido taxi perchè le buste sono sempre troppe"

"Se è per i soldi, me la pago io. Non devi sborsare niente"


"Non mi piace il fatto che tu possa andare lontano quando ti pare, ok?"


"E pensi che abbia bisogno di una patente, per farlo? Pensi che se volessi andare da te userei la macchina? Sono una strega! Chiederei a Maya di aprire un portale e di spedirmi dall'altra parte del mondo, e tu non avresti neanche un odore da seguire, per ritrovarmi. E poi il punto non è dove vado...dovresti riflettere sul fatto che dovunque io vada, io torno sempre. Qualsiasi cosa faccio, te la dico prima. E non perchè dipendo da te e dall'essere appiedata, ma perchè sentiamo certe cose.Certe volte, quando fai cosi, mi fai un pò cadere le braccia. E penso che forse, se hai certe idee, è colpa mia che non ti faccio capire abbastanza quanto sia forte ciò che sento."


Due ore dopo.

"Allora..io mi trovavo in citta' a fare delle cose e gia che c'ero ho preso i moduli per la scuola guida e pagato la prima retta. Tanto avresti fatto casino. Devi solo portare giu un paio di cose e puoi iniziare quando vuoi" 




La pecora se ne stava, tranquilla, a brucare. Masticava lentamente e con gusto l'erba verde innanzi a sè, muovendo sporadicamente l'orecchio a scacciare qualche noiosa mosca. Neppure il rumore della Jeep, in lontananza, sembrava dissuaderla da quel suo mangiare, pago e tranquillo, totalmente immersa nella pace della compagna circostante. Gli occhi ovini, francamente poco espressivi, si fermano per qualche istante sulla vettura che accosta a lato della strada. L'animale osserva, accanto ad altri suoi simili, tutti ugualmente intenti a brucare, un biondo omaccione uscire dal lato guida e passare al lato passeggero. Una ragazza mora si mette al volante. Inizialmente, la Jeep si spegne. Due volte. In macchina si discute, con tanto di sfarfallare esasperato di mani. E poi...la macchina parte. Prende un dosso, acquista velocità e...si. Si dirige verso le pecore. Che, belando, si sparpagliano per la campagna circostante, il terrore negli occhi e la grossa, arrogante, risata del biondo affacciato al finestrino che agita la propria maglia come fosse un lazo da cowboy e grida qualcosa tipo "Prendile, bambolina! Prendile! Ed anche quel dosso, e quella buca...accellera, dai gas!"

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Mattina. Neal era già uscito da un po' e mi stavo preparando per andare a lavoro. Ero già vestita, pettinata, profumata, e mescolavo distrattamente il caffè, la tazza abbandonata sulla penisola, mentre l'altra mano avanzava sul ripiano, a tastoni, per abbrancare un biscotto dal pacco aperto e vuoto per metà e portarlo alla bocca. Incurante delle briciole che, ad ogni morso, avevo sparpagliato sulla superficie scura, se non erano rimaste imprigionate ai lati della bocca. Insomma, non c'era niente di speciale in quella mattina, finchè il cellulare. E nel mentre scorrevo i tasti per aprire il messaggio ho portato la tazza alla bocca, decisa a prendermi un bel sorso per risvegliarmi. Il messaggio era di Neal.

"...Quando ho scelto di stare con te ho preso la responsabilita' di averti accanto ed il dovere di difenderti, e non sono cose che possono durare mesi, ma molto di piu'. Noi non abbiamo anelli e non abbiamo carte in comune, ma la sicurezza e la volonta' di una scelta e' molto piu forte ed importante di qualsiasi dichiarazione o gingillo inutile per le dita.

Questo ovviamente ha validita' fin quando anche la tua fedelta', intesa nella globalita' del significato e non solo quella fisica, sara' intatta e legata a me..."


Ho spruzzato il caffè lungo tutta la parete, e il marrone del liquido scuro ha graziosamente macchiettato il giallo del muro, creando suggestive sfumature tono su tono. Dopodichè ho iniziato a tossire furiosamente, perchè il caffè che non era finito sulle pareti era, maledetto, scivolato nei miei polmoni. Morta. Mi vuole morta. Le sue sono tutte subdole tattiche per eliminarmi dalla piazza una volta per tutte e sentirsi libero, data la vedovanza, di trovarsi una nuova compagna. Noi stiamo insieme. E lo so. Ed io vorrei starci tutta la vita, e pure oltre. Ma ora, che è sta storia che noi...che lui...che io. Cazzo. Da quando stiamo "cosi" insieme? Cosi tanto che possiamo sentirci un pò più come marito e moglie e un pò meno come...come stavamo prima? Mi sono dovuta fare un bicchiere di acqua e zucchero, ed ho avuto la tachicardia tutta la giornata. Ma la mia non è paura, o ansia, o soffocamento. No, no, no. E' che sono felice. Vergognosamente felice. E quando sono cosi, in genere succede sempre qualcosa di terribile a rovinare tutto. A me non interessa troppo se lui si sveglia una mattina, e decide da solo che sono perdutamente sua. Non mi interessa se prima non ci sono formalità e sciocchezze varie. A me interessa che sia successo. E spero, davvero, che non accada niente di orribile a guastarmi la perfezione del momento. Ho saltellato per casa, da sola, sprizzando gioia da tutti i pori e gli ho chiesto di tornare a casa, per il pranzo, perchè avevo disperatamente voglia di stringerlo a me. Di abbracciarlo. C'è talmente tanta fisicità, nelle nostre esternazioni, che delle volte quando mi tocca mi sembra che i suoi gesti dicano parole meglio di quanto non faccia la mia bocca.



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Lui, alla fine, era tornato per il pranzo e, come previsto, si erano detti poche parole sulla faccenda "siamo tanto tanto nostri". Preferivano abbracciarsi e ingozzarsi insieme, piuttosto che filosofeggiare sulla faccenda in se. Si erano salutati da un'oretta circa, Neal aveva degli affari da sbrigare in città e Kim, dopo aver finito le faccende, doveva mettersi a provare una nuova pozione. Se ne stava in soggiorno, a piegare il bucato che aveva ritirato da poco dall'esterno, con la tv accesa in sottofondo, quando notò qualcosa di strano. Il canale trasmetteva uno speciale pomeridiano sulla parata di carri che dava il via ai festeggiamenti del Carnevale. Con la coda dell'occhio nota, per caso, qualcosa che li per li non focalizza ma che si fa, lentamente, largo nel cervello. Finché non gira il viso verso il monitor, e lo vede. Biondo, sorriso arrogante, muscoli diffusi ed una corona in testa. Neal. 

"Io quel re lo conosco..." bisbiglia, lasciando cadere a terra il lenzuolo ed avvicinandosi allo schermo, con le mani sui fianchi. Gli stanno mettendo una corona in testa, nominandolo Re del Carnevale, e accanto a lui ci sono una bella ragazza dai capelli rossi e una Drag Queen di colore. Regina e Principessa del Carnevale. Kim afferra il cellulare, sentendo l'aura gonfiarsi intorno a lei,mandando subito un messaggio:

"Neal. 

Sono sicura che c'è un motivo se alla tv locale ci sei tu che te ne stai su un fottuto palco con in testa una corona, una drag queen alla destra ed una rossa alla sinistra. Ne sono sicurissima. 

Io, intanto, preparo le mie valigie <3"

Risolleva gli occhi giusto in tempo per vedere l'uomo portarsi una mano sul pacco e sillabare un "Djali, è tutto tuo". Kim chiude gli occhi e batte i piedi, innervosita, scagliando il cellulare contro il divano

"Arrggh, sciocco lupastro, come ti odio...ne pensi una e ne combini centomila!! A lavoro eh?!?! Dovevi andare a lavoro!? Uhhh, appena ti prendo"

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Kim sta male da qualche giorno. Neal, con quella sua nomina a Re del Carnevale, l'ha portata a pranzo fuori in una bettola dove, per tutta la durata del Carnevale, avrà diritto ad abbuffarsi gratuitamente. Ma, poco dopo, lei ha iniziato a stare poco bene. Febbre e diarrea l'hanno costretta a chiedergli di venirla a recuperare presso la dimora Nash, e lui è premurosamente accorso in suo aiuto. Le ha fatto il caffè, la mattina dopo, bruciando solo una presina. La più bella, di quelle che avevano. Ma lei, questo, non gliel'ha fatto presente. Le ha lasciato una ciambella, morsa per tre quarti, sul tavolo.  E le ha tempestato la casa di post-it. Post-it davvero sciocchi, inutili, come la scritta "Illuminami" sull'abat-jour. Centinaia di sciocchi foglietti con inutilità sopra. Ma sa che è un modo per farle sentire che lui c'è, che la vuole, che è li per lei e che si prenderà cura della sua malattia. Si è arrabbiato quando lei, nel tran-tran bagno letto, si è fermata a dormire sul divano perchè non aveva voglia di svegliarlo. Gridandole contro che se lo svegliava a lui faceva comodo perchè dopo avrebbe dormito con più gusto, e riportandola in braccio tra le lenzuola. E poi avevano litigato, perchè lei era uscita la sera dopo. Con la luna piena. E la febbre. Ma adesso avevano fatto la pace, e lui era passato al MoonGoddess a  prendere dei preparati erboristici confezionati da Gwen. Si era preso cura di lei, standole vicino di giorno, visto che la notte se lo portava via la luna. Apre gli occhi senza un motivo specifico, allungando un braccio a cercare il corpo accanto a lei. Ma il letto è vuoto. Sospira, rabbrividendo dal freddo, alzandosi per andare in bagno. E quando torna, lo nota. C'è un biglietto sul letto, sul cuscino di  Neal. Gattona sul materasso, sdraiandosi al proprio posto ed afferrando la carta, credendo si tratti di un altro post-it del tipo "Dormi sopra di me: sono un cuscino". E invece no. Lo legge alla luce della luna piena, che filtra abbondantemente dalla finesta, e a mano a mano il sorriso si smorza. Parola dopo parola, dichiarazione dopo dichiarazione, sente un groppo formarsi in gola, condensarsi agli angoli degli occhi in calde lacrime. Quando finisce, Kim bacia il biglietto e se lo stringe al petto, abbracciandolo forte, continuando a piangere di gioia e a mormorare, a voce bassa.

"Sciocco, borioso mannaro poco romantico. Ti amo anche per questo..."


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