Si erano ritrovati. Leon le stava seduto accanto sulla sabbia, ed entrambi facevano finta di guardare il sole morire oltre il molo, tuffandosi in un orizzonte striato di blu e arancione. Non si vedevano da anni e, a dispetto delle dichiarazioni dell'infanzia, tra loro era cambiato tutto, persino il modo di guardarsi. Forse perchè il modo di lasciarsi non era stato dei migliori. Forse perchè Leon non credeva che quella creaturina massacrata di botte, sola e abbandonata tra la terra del bosco, si sarebbe trasformata nella donna sicura di sè, bella e fiera, che aveva davanti. Kim teneva gli occhi alti, in una posa da combattente che non le riconosceva, ma che evidentemente aveva sviluppato nel tempo. Non solo era sopravvissuta, ma si era fatta più forte, più carismatica. E questo, in un certo senso, lo metteva in soggezione
"Potresti pensare di tornare"
"Finchè tuo padre sarà in vita, io nel gruppo non tornerò. Mai"
"Ma stai diventando vecchia, Kim. Non ti vorrà nessuno di noi, se vai in la con gli anni. Già adesso, la tua situazione..."
"...la mia situazione è che sono stata allontanata. Da persone che sono ancora li. E sono ancora a capo del gruppo. Col cazzo, che torno"
"Vuoi morire sola?"
"Avrebbero voluto, che morissi sola. Ma sono viva. E faccio quello che mi pare"
"Si, certo...ma per quanto? Senza qualcuno che ti protegga, senza una famiglia su cui contare, quanto potrai..."
"Scusami tu per famiglia intendi le persone che mi sputavano addosso, quando passavo? O quelle che mi hanno rubato tutto? Perchè vedi, ho le idee un pò confuse"
"Stai parlando troppo, ed inizio a innervosirmi"
"Rompi quanto ti pare, io nel gruppo non torno"
Si erano azzuffati, come sempre. Avevano fatto a botte sotto gli occhi increduli dei passanti, e Leon l'aveva atterrata. Le mani bloccate dietro la schiena, il corpo di lei premuto contro la sabbia
"Ascoltami, pazza scatenata che non sei altro! Va bene...finchè ci sono i vecchi non torni. Ma quando crepano tu torni, ti trovo un marito e vieni con noi. Mi prenderò cura di te, come promesso. Divertiti, fa quel che vuoi, ma sappiamo entrambi che prima o poi tornerai a chiedere di riprenderti, perchè siamo la tua gente, e siamo gli unici a capirti davvero. Adesso, prenditi il mio numero"
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Shreveport - Dicembre 2013
Kim cammina nervosamente davanti alla pompa di benzina. La gonna di velluto blu lunga fino ai piedi rimanda, discreta, riflessi d'argento ad ogni movimento delle lunghe gambe, mentre gli anfibi sguazzano con noncuranza nelle pozzanghere. Di tanto in tanto la ragazza stringe meglio al petto la giacca di panno verde chiaro, un colore uniforme spezzato solo dalle ciocche, ondulate e castane, che lei porta sciolte e selvatiche lungo le spalle. Finchè, sentendosi osservata, non blocca il proprio ciondolare girandosi, lentamente, alla sua destra. Li davanti a lei, col solito sorriso ironico e quell'espressione da arrogante e borioso padrone del mondo, Leon la fissa a braccia incrociate. Kim sorride, poco prima di andare ad abbracciarlo. E per un istante nel sentirlo cosi felice di rivederla crede che lui, a dispetto dei suoi brutti pensieri, forse comprenderà ciò che sta per dirgli.
Inizialmente, era andata bene. Le aveva allungato una busta, contenente cose appartenute a lei ed a sua nonna e che aveva custodito per lei in questi anni, e avevano parlato della sua famiglia. Dei suoi figli, di sua moglie, delle vecchie conoscenze in comune. Si erano andati a sedere su un muretto, e avevano mandato giù rapidamente due birre, recuperando il tempo perduto a parlare di sciocchezze, in fin dei conti. Finchè, il discorso, non era virato su Kim.
"Ho una notizia, per te. Ci sarebbe un uomo, uno di fiducia, disposto a sposarti. E' un pò più grande di te, ma dato il tuo passato non puoi pretendere che un coetaneo ti vorrebbe...d'altronde, ora che mio padre non c'è più..."
"Leon...io non ho intenzione, di sposarmi con sto tizio. Non ho intenzione di tornare tra di voi"
Stavano fumando, lei si era alzata in piedi mettendosi davanti a lui, che rimaneva seduto
"Abbiamo già fatto questo discorso. Tu non hai niente che..."
"Ti sbagli. Io ho qualcosa. Qualcosa che nessuno di voi può darmi"
A Kim era venuto da ridere, e questo aveva fatto incazzare l'uomo. Che si era alzato, a fronteggiarla
"Cosa cazzo stai dicendo?"
"Dico...che ho un lavoro. Ho una casa. Ho degli amici. Ed ho un uomo"
Lo zingaro l'aveva spinta, e lei non aveva opposto resistenza. Sapeva, sarebbe andata cosi, dal momento in cui si era messo in piedi
"Che cazzo dici! Stai con un gorger? Con un merdoso gorger?! Ci vivi assieme?!"
"...Si. Ci vivo"
"Senza esserti sposata?"
"Si"
"Sei diventata una puttana, adesso? E che cazzo di uomo è uno che ti fa lavorare? Cos'è, lo devi mantenere tu?!"
Insultava e spingeva, e Kim arretrava e tentava di mantenere la calma. Perchè sapeva che lui si sarebbe calmato, era questione di poco. Faceva sempre cosi. Stavolta, però, l'uomo sembrava intenzionato solo a peggiorare la situazione
"...Sai cosa facciamo, mh? Facciamo che io ora lo vado a trovare. E gli faccio capire, alla nostra maniera, che tu non sei roba per lui"
Era stato quello, a farla impazzire. Teneva la concentrazione alta da un pò, ma quella minaccia, neanche troppo velata a Neal aveva rotto l'argine che conteneva la sua pazienza. In preda all'ira, Kim aveva alzato la destra, afferrato da una pila poco lontana un pneumatico e colpito l'uomo alle spalle, lateralmente, facendolo cadere a terra, e spostandolo giusto di un metro, rovinosamente, contro l'asfalto. Sempre in preda ad una rabbia assurda, si era avventata su di lui per afferrarlo dai capelli e guardarlo negli occhi
"Se osi, anche solo minimamente, avvicinarti a lui io farò in modo che tu non possa più andare da nessuna parte, Leon! Hai capito!?!"
Non aveva capito. E dopo un primo momento di sbigottimento e dolore aveva reagito, ringhiandole contro insulti nella loro lingua e facendola cadere a terra, mettendocisi sopra e bloccandole i polsi sopra la testa. Nella caduta doveva essersi rotto il naso perchè gocciolava copiosamente e il sangue scivolava, in rivoli scuri, dalla sua bocca al petto di Kim sporcandole la maglietta e la giacca. L'aveva vista usare la magia e, a quanto pare, non l'aveva presa bene
"Tu! Aveva ragione mio padre...sei davvero, figlia del demonio! Lurida puttana, non meritavi di vivere. Appena i tuoi amici sapranno cosa sei, e la maledizione che ti porti dietro, ti abbandoneranno. Vivi come una straniera, con una casa e un "lavoro", ma questa vita ti farà morire dentro. Non sarai più libera di fare niente se non di raccogliere il frutto di ciò che hai seminato. E quando quell'uomo senza palle, che fa lavorare te al posto suo, si stancherà di scoparti ti getterà in un angolo. Non sei niente, Kim. Nè carne nè pesce, nè gipsy nè gorger...sei solo un mostro"
Per lei era stato un pò come morire. E le parole di Leon, accompagnate da un'occhiata di puro disprezzo, si erano concluse con uno sputo in faccia. La saliva e il sangue dell'uomo le erano colate sulla guancia, e li aveva compreso che ormai era fatta. Il cordone rotto, la pagina voltata. Aveva chiamato, nuovamente a sè, il potere restando immobile e inerte sotto la pioggia di cose orribili che lui le aveva detto. E poi aveva schiuso la bocca, per pronunciare
"Ciò che tu dici non voglio sentire, e il tuo viso mai più voglio rivedere. Che ti si insegni la lezione del silenzio e con filo da sutura, e mani di vento, ordino che le tue labbra vengano cucite"
Detto, fatto. L'incantesimo era riuscito e l'uomo aveva avvertito con orrore la sensazione dell'ago che trapassa, da parte a parte la pelle, in punti larghi. Più gridava, più i punti tiravano, e le labbra perdevano sangue. Terrorizzato si era rialzato in piedi, correndo via. Lei, invece, era rimasta a terra per un pò. Si era rialzata, con calma, e aveva iniziato a ripulirsi. Poco distante, a terra, la busta con le sue cose giaceva li immobile, col suo nome scritto a pennarello sul cartoncino.
Lei, però, per oggi ne aveva avuto abbastanza del suo passato. Ci sarebbe stata un'altra occasione, per aprire quella. Le ore restanti le avrebbe dedicate a Leon, e ad elaborare definitivamente il lutto di averlo perso, per sempre.
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