sabato 16 novembre 2013

Gennaio 2009 - Tucson


E Kim si era rimessa in viaggio. Da sola, per una volta. Senza la nonna, senza la carovana, senza Lèon. Nessuna meta precisa e neanche troppo denaro da sprecare in attesa di capire cosa fare di sè e della propria esistenza. Tucson, intanto, era un buon posto dove arrivare. Si era lasciata alle spalle mesi di dolore e l'affetto sincero di Bob e Mary ma davanti non aveva nient'altro che il blu del cielo, il grigio dell'asfalto di strade infinite, l'arancione carico che accendeva di luce ogni cosa, in Arizona.  Bastavano questi colori a farle venire la voglia di mettere un piede dopo l'altro e vedere cosa c'era dietro quel segnale, dopo l'ennesima curva, oltre l'orizzonte.
Giusto qualche giorno per acclimatarsi e poi eccola spuntare li, tra le bancarelle del Luna Park, seduta a gambe incrociate su di un cartone piegato a farle da tappeto, dietro a una cassetta della frutta girata al contrario e sulla quale aveva steso una sciarpa multicolore. I tarocchi, ordinatamente disposti sul piano che aveva cosi ricavato, ed un piccolo cartello anch'esso di cartone messo a lato con sopra tracciati, a caratteri neri, tariffe e servizi  rappresentavano tutto ciò il proprio banchetto offriva. Leggeva la mano, le carte, o su richiesta entrambi ed in breve era riuscita a racimolare il necessario per almeno due pasti completi. Quando Estrelle si era seduta davanti a lei Kim era intenta a fumarsi uno spinello, e le aveva rivolto un sorriso allegro e spensierato.



"Mi aspetti? Non ci metto tanto. Anzi, se vuoi un tiro..."
"Leggi la mano e offri fumo? Ragazzina, tu si che sai come divertire i clienti"

Avevano stretto amicizia. Estrelle aveva un banco di gioielli fatti a mano utilizzando materiali di recupero, pietre grezze e qualsiasi cosa la fantasia, o la mancanza di materiali, le suggeriva. Si spostava di fiera in fiera, di città in città, assecondando la sua anima da hippye nostalgica e bohemienne convinta. Non c'era da stupirsi che Kim le andasse a genio, nonostante la ragazza non fosse propriamente propensa a stringere rapporti con estranei. Un pò come quei cuccioli che, una volta bastonati, diffidano delle carezze altrui fintanto che le ferite continuano a fare male. E lei, se stiracchiava la schiena, poteva ancora sentire le cicatrici delle frustrate bruciare sulla propria pelle. Ma forse, la sua, era solo suggestione.

"Sono bellissimi, davvero. Li comprerei tutti, ma poi finirei sul lastrico"
"Potrei venire a farmi leggere la mano da te ogni giorno, cosi riequilibreremmo tutto, no?"
"Come hai detto che si chiama, questa pietra qui?"
"Questa è Ambra. E' un fossile"
"E cosa sarebbe un fossile?"
"In pratica...la resina di un albero, vecchia di milioni di anni, che si indurisce e arriva fino ai giorni nostri"
"Cazzo...e tu dove la prendi?"
 "Si ottiene in diversi modi. Quella che uso io la sputa il mare. Queste, invece, sono perle di ambra grigia. Senti che profumo..."

La testolina della zingara si era messa, velocemente, in moto. Le piaceva che quella pietruzza riuscisse a superare i millenni, e risplendesse ancora in quel modo. Che nel colare da una corteccia avesse imprigionato dentro di sè frammenti di insetti e particelle di vegetali rendendoli, a loro modo immortali. Cosi, un giorno, si era presentata al banchetto di Estrelle chiedendo una penna e un foglio.

"Devi realizzarmi una collana. Te la pago eh...ma voglio che tu la faccia proprio cosi" - La donna era rimasta in silenzio, osservando il disegno di Kim che, accanto ad ogni parte del monile, tracciava una freccetta aggiungendo, a parole, cosa fosse e in che modo dovesse essere inserita nel gioiello. Estrelle aveva aggrottato la fronte e puntato l'indice contro un indicazione

"Perchè due lastre, di ambra? Non te ne basta una? Magari intagliata, a smeraldo, o a cabochon..."
"No, ne voglio due perchè dentro devi metterci questo" - Kim aveva puntato la matita su uno scarabocchio che aveva disegnato al centro della pietra.
"Ah...credevo che fosse un segno per indicarmi che volevi una pietra con l'insetto"
"No no...devi metterci una cosa che ti do io"
"E cosa?"

Per tutta risposta, lei aveva infilato la mano in tasca e tirato fuori una busta ingiallita. Aveva frugato all'interno della stessa recuperando, poi, una minuscola ciocca. Capelli bianchi come neve, leggermente ondulati, erano legati ben stretti da un nastrino rosso.

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Agosto 2008 - San Diego

Da quando la nonna si era ammalata toccava a Kim prendersi cura della loro casa, sbrigare i lavori di cucito dei clienti, preparare da mangiare o proprio rimediarlo da qualche parte, il mangiare, se era necessario. Non si lamentava, perchè le sembrava assolutamente naturale. Baba si era occupata di lei e del loro piccolo mondo per tutti quegli anni, perchè lei non avrebbe dovuto fare lo stesso adesso che era necessario? Giorno dopo giorno, l'anziana donna diventava sempre più debole, sempre più stanca. Il viso si era intessuto di rughe, alcune più profonde ed altre più sottili, e la pelle del corpo aveva assunto, oltre alle picchiettature di colore tipiche della vecchiaia, una traslucenza del tutto simile a quella dell'alabastro tanto che si vedevano distintamente le vene, al di sotto della stessa. La nipote guardava la metamorfosi di quel corpo con preoccupazione e ansia, ricoprendo Baba di carezze e premure. Ogni sera, prima di andare a dormire, si metteva seduta sul letto accanto a lei e le scioglieva le trecce. Erano decisamente lunghe, e la donna le portava ritorte su se stesse a creare una specie di spirale, formando un piccolo toupè che fermava, poi, con un pettinino nero. Con pazienza, le dita abili e leggere della ragazza, dipanavano l'intreccio. Delicatamente ripulivano i capelli, strofinandoli piano con un batuffolo imbevuto di alcol e di acqua di rose.  Li pettinava, osservando affascinata i riflessi che assumevano sotto i colpi gentili del pettine, quasi quel bianco volesse assorbire la luce della lampada rimandandola indietro in bagliori di fuoco, ed infine li intrecciava nuovamente. Ogni sera, lo stesso rituale. E la nonna socchiudeva gli occhi, felice, mormorando benedizioni e carezzandole la gamba con lentezza, coccolandola a sua volta. Finchè una sera, spaventata all'idea che da li a poco l'avrebbe persa per sempre, Kim non decise di recidere una piccola ciocca, e di tenerla con sè. Il corpo sarebbe tornato cenere, le ossa polvere, i vestiti li avrebbero divorati le tarme...ma la ciocca le sarebbe rimasta vicino, col suo lieve sentore di rosa ed il ricordo di quelle notti passate ad amarsi l'un l'altra, per molto molto tempo.

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Per una zingara, i capelli sono qualcosa di sacro, intoccabile. E' raro che una zingara si tagli i capelli, perchè sono il suo vanto, la sua bellezza e più sono lunghi più questa è grande. E la bellezza..beh, è il suo unico patrimonio. Per cui i capelli diventano qualcosa da accudire come la propria casa ed i propri figli. I capelli completano la figura e come una perfetta montatura armonizza ed esalta la gemma, cosi i capelli incastonano i lineamenti della donna facendola distinguere dalle altre. Per questo le zingare sono solite portarli cosi lunghi, acconciarli con monili, profumarli con oli ed essenze. Perchè sanno che non sono un contorno, un dettaglio, un qualcosa di trascurabile. Sono parte di loro tanto quanto lo sono gli occhi, la bocca, le mani...l'anima stessa. Portando via una ciocca alla nonna, era come se avessi portato via un pezzo, minuscolo, della sua anima.
Mi separo spesso da ciondoli, da bracciali, da anelli. Li perdo, li rompo, li regalo, li baratto...sono solo cose, soltanto oggetti. Sopravvivo, senza di loro. La collana che mi ha realizzato Estrelle, invece, non è solo un monile. E' una compagnia, una protezione, un simbolo. E' l'idea stramba di una ragazza strana che pensa che forse, se una pietra può rendere immortali degli insetti e dei licheni, allora può rendere immortale anche una ciocca e tutto ciò che la ciocca rappresenta. La collana è qui, con me, dimora tra i seni a stretto contatto col mio cuore. Ed anche questo, non è un caso. E' come se la nonna fosse qui, con me, e tenesse l'orecchio premuto contro il mio petto. Senza bisogno di spiegare, di dire, di articolare, lei ascolta il rumore delle mie pulsazioni, i pensieri che neanche a me stessa riesco a sussurrare, le mie paure ma anche i desideri. Forse sono sciocca, pagana, sentimentale. Probabilmente se la gente sapesse riderebbe, alzerebbe gli occhi al cielo, scuoterebbe la testa. Il punto è che io sono certa che di ciò che la gente dice, di ciò che la gente fa, non me ne fotte assolutamente un cazzo.

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Estrelle aveva fatto un bel lavoro.Aveva imprigionato, tra due sottili lastre di ambra chiara, una parte della ciocca dando quasi l'impressione che la pietra, dall'interno, fosse graffiata. Intrecci e graffe d'argento tenevano fermi le due pietre, ed abbracciavano il ciondolo rettangolare conferendogli un certo movimento ed una discreta eleganza. Due perle di ambra grigia, sapientemente lucidate e deliziosamente odorose, erano state poste poi ai lati del ciondolo. E, per assicurare al collo il pendente, Kim aveva voluto un laccetto in cuoio chiaro. Col tempo, a furia di tenere il gioiello a stretto contatto con la propria pelle, la zingara ne aveva in parte assorbito l'odore. Di cosa odora, Kim?
Sa di cuoio, appunto, di selvatico, di pelle conciata.
E il velo di sudore che dimora tra le pieghe del suo corpo rende ancora più intenso il sentore dell'ambra.
Qualcosa di caldo, sensuale, voluttuoso che in parte richiama anch'esso l'odore del cuoio ed in parte rievoca i toni freschi e pungenti del mare.
Passo dopo passo, emozione dopo emozione, la collana continua a scivolare silenziosamente nell'incavo dei seni e a farle compagnia in ogni momento della sue esistenza. Spettatrice silenziosa di abbracci amichevoli, attimi di passione bruciante, spiacevoli delusioni...ma anche discreta confidente, e persino portafortuna all'occorrenza.
Dopotutto, le collane non parlano, non giudicano, non fanno domande.
Loro ti capiscono. E basta.



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