martedì 22 ottobre 2013

Novembre 2010 - New York - Daniel




Daniel l'ho incontrato in una mattina di pioggia. Scendeva lieve come neve, e si infiltrava nei vestiti dritta sino alle ossa, tanto che mi sembrava di avere liquido persino il midollo. Io ero io, ovviamente, che domande. Lui era perfetto. Era il classico uomo d'affari sempre ben vestito, ben pettinato, ben profumato. Teneva in mano la borsa, una di quelle da ufficio per intenderci, e nell'altra l'ombrello ma probabilmente gli era del tutto inutile, probabilmente anche l'acqua si sarebbe ritirata davanti a lui per timore di gualcirlo. Ecco, la cosa che non ricordo è chi dei due attaccò per primo bottone...ma penso che probabilmente fui io. Insomma, dopo un pò gli stavo leggendo la mano, sotto il suo ombrello. E lui alternava quegli occhi di un azzurro felino, ultraterreno, dal suo palmo curato al mio viso. Mi pagò, si allontanò, ed  io tornai alla mia routine ed alla mia pioggia. Il giorno dopo tornò ancora, e si fece leggere nuovamente la mano "Perchè mi hai portato fortuna, ieri" disse. Torno anche quello dopo, e quello ancora, finchè non gli feci notare che sarebbe stato meno costoso, per lui, offrirmi il pranzo. Rimediai il pranzo, la cena, e lui rimediò compagnia sotto le lenzuola. Diciamo che la sua mano era molto meno interessante da leggere, rispetto al resto del suo corpo. So che sembra strano, immaginarci insieme, e che probabilmente la gente si chiederà come passassimo il tempo insieme fuori dalle lenzuola. In realtà in comune non avevamo proprio niente, e forse era proprio questo il bello. La novità dello scoprirsi, il fascino del diverso, l'idea di rompere la monotonia della vita di sempre con una nota nuova, frizzante.

"Questi segni, sulla schiena...come te li sei fatti?"
"Li ho fatti da me, per bellezza. Mi piacciono gli intrecci"

Di bugie gliene ho raccontate tante, davvero. E probabilmente anche lui, non si è risparmiato in termini di cazzate. Però non faceva che ripetermi quanto ero bella, quanto gli piacessi, quanto fossi divertente. Voleva che smettessi di leggere la mano, che indossassi abiti "decenti", che prendessi in mano la mia vita. Io annuivo, sorridevo, mi piaceva fare la bambolina, e avere un paio di braccia che ti stringono...e i libri. Cristo, casa sua era piena zeppa di libri nuovi, meravigliosi, ed erano li tutti per me. Quando lui usciva io passavo il tempo a leggere, divoravo pagine su pagine, con l'ingordigia di chi non sa quando tutta quella fortuna cesserà. La fortuna, nella fattispecie, cessò più o meno due settimane dopo. Tornò a casa ed era diverso, era come se baciarmi gli pesasse, guardarmi lo infastidisse. Finchè la sera, scazzato, non affrontò il discorso dicendo che c'erano cose di me inconciliabili con la sua vita, che la sua famiglia lo avrebbe allontanato, i suoi amici deriso.

"E quindi?"
"E quindi non va bene, Kim. Non vai bene"

Li per li, fece malissimo. Era come se qualcuno avesse preso un coltello e, di punto in bianco, avesse deciso di sbucciarmi il cuore. Bruciava, tirava da impazzire. Ma sono brava, a fingere, la mia gente lo è da sempre. E dissi l'unica cosa di cui mi sono mai, realmente, pentita. L'unica per cui mi taglierei la lingua e la getterei nel fuoco

"Posso cambiare, se vuoi. Un pò"

No, non volevo cambiare. Non volevo diventare diversa, rinnegare ciò che ero, compiacere tutto il suo mondo per fare un favore lui. Ma non volevo neanche perderlo. E a lui dovetti fare una sottospecie di tenerezza, pietà o chissà cosa, perchè mi strinse a sè e mi bacio, prima di farmi scivolare giù, sul pavimento. Fu l'ultima volta, tra noi due. La mattina seguente decisi di fargli una sorpresa, e di raggiungerlo per pranzo a lavoro. Lo aspettai fuori, naturalmente, all'angolo della strada. Lui era già uscito, con un gruppo di colleghi, rideva beatamente e teneva ferma la mano sul culo di una ragazza. Una bella ragazza, per carità, la fissai molto bene per capire cos'avesse lei di diverso. Era elegante, probabilmente lavorava con lui visto che in mano teneva una carpetta con lo stesso logo che avevo visto nei documenti della sua scrivania. E poi lui si girò a guardarla, e dopo averle sorriso si chinò in avanti, per darle un bacio.

Non feci niente, davvero. Nè scenate, nè drammi. Girai le spalle alla scena, tornai a casa sua, raccolsi le mie cose (quelle che avevo con me già da prima, non quelle che mi aveva regalato in quei giorni) e andai via. Via dall'appartamento, via da New York, via dal suo odore. Semplice e pulito, senza un biglietto, senza isterie, cosi come ero venuta mi ero dileguata.

Delle volte, ripensando a lui, ripensando a quel periodo mi chiedo se io ero innamorata o meno. Non lo so, sinceramente, ma probabilmente Daniel è stato la cosa più vicina all'amore che io abbia mai provato. Scappare, forse, è stato da vigliacchi...ma davvero, che senso ha restare quando l'altro è già andato via? Meglio andare oltre, spostarsi, cercare un nuovo spicchio di felicità. E magari legarsi di meno, credere di meno, soffrire, di meno.

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"Un biglietto per Boston, grazie" Kim si era appena seduta sulla corriera, dopo aver caricato i propri bagagli. Aveva ancora il visetto accaldato, il corpo stretto nei soliti stracci e l'espressione serena, tranquilla, imperturbabile. Il suo lato era quello del finestrino, ed accanto a lei si era seduto un ragazzino con in mano una barretta di cioccolato e le cuffie nelle orecchie. Fu solo quando il mezzo scivolò, silenziosamente, dal parcheggio alla carreggiata che lui si accorse di qualcosa.
"Signorina..." richiamò Kim, tirandole appena il gomito e facendole voltare il viso "...sta bene?"
Lei si è resa conto solo adesso, che stava piangendo, ora che nel girarsi le lacrime erano gocciolate giù lungo il collo. Si asciugò le guance col dorso della destra, ma quelle maledette cadevano ancora
"Si. Tutto ok. Non preoccuparti" si era nuovamente  girata verso il finestrino, ma il bambino l'aveva richiamata ancora. Stavolta le aveva allungato la barretta, sorridendo
"Stia tranquilla ok? Qualunque cosa sia...passerà. Dia un morso qui, avanti"

Kim aveva riso. E dato un morso. Da allora le barrette di cioccolato erano diventate un elemento onnipresente dentro la sua borsa.


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